Ogni prodotto europeo di consumo (in particolare prodotti tessili, ma non solo) potrebbe presto avere un vero e proprio “passaporto” digitale che testimoni la sua identità green, ovvero la sua rispondenza a specifiche regole europee in materia di circolarità, riciclo, recupero e riutilizzo. Lo prevede una proposta di regolamento europeo al vaglio delle Istituzioni di Bruxelles che, se approvata, rivoluzionerà la progettazione dei prodotti in commercio, rendendola il più possibile “eco-compatibile”, durevole e riciclabile. Ma a quali prodotti si applica e come funzionerà il passaporto verde e digitale inventato dall’UE?

Passaporto green dei prodotti UE: per quali prodotti

Il passaporto digitale dell’UE riguarderà una grande quantità di prodotti in commercio, in particolare i tessili e moda (dove, come abbiamo visto c’è in atto da anni una politica che favorisce il riciclo e riutilizzo) escludendo però alimenti, mangimi, medicinali, prodotti veterinari e veicoli a motore, per alcuni dei quali esistono già regole progettuali che ne garantiscono l’efficienza energetica ad esempio.

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Per progettazione eco-compatibile si intende la realizzazione di prodotti progettati fin dall’inizio per essere durevoli, efficienti, facilmente riciclabili: nel 2019 l’UE aveva introdotto una direttiva che timidamente aveva previsto specifiche progettuali “green”, ma per solo 31 prodotti: ora il Regolamento europeo dovrebbe fare di più. Come?

Aumenterà sicuramente il numero di prodotti da progettare sin dalla partenza come “sostenibili” fissando specifici requisiti di sostenibilità ambientale e garantendo per ogni bene la massima trasparenza circa la sua distruzione o smaltimento oppure, un divieto espresso di distruggerli per conferirli poi al recupero o riutilizzo.

Tutte queste caratteristiche coloreranno l’identità digitale del prodotto: ma quale sistema di rintracciabilità vuole creare l’Europa intorno ai beni di consumo?

Regolamento sulla progettazione eco-compatibile: quando il bene di consumo

Nel testo di regolamento che circola a Bruxelles si parla di un “quadro armonizzato”, ovvero un insieme di regole comuni per rendere i prodotti di consumo non solo più efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse di partenza impiegate a costruirli (come voleva la precedente Direttiva) ma anche più durevoli, affidabili, riutilizzabili, migliorabili, riparabili e riciclabili e più facili da gestire in termini di manutenzione.

Il passaporto riporterà anche altre informazioni: la presenza di sostanze pericolose dei componenti che ostacolino la circolarità, l’efficienza energetica, i contenuti riciclati, la ri-fabbricazione, l’impronta di carbonio e l’impronta ambientale e gli obblighi di informazione, tutti elementi sui quali si cerca il confronto con il mondo industriale per avere criteri progettuali sostenibili “minimi” e trasparenti e soprattutto per assecondare una loro maggiore responsabilizzazione rispetto al prodotto realizzato (come già accade nel mondo moda/tessile).

Ma a cosa e a chi serve esattamente questa regolamentazione di prodotto tanto eco-compatibile?

A chi serve un passaporto digitale e green del prodotto?

Secondo l’UE la Direttiva 2019 sulla progettazione eco-compatibile dei prodotti ha consentito già un risparmio di 120 miliardi di EUR a livello di spesa energetica e ha permesso di ridurre del 10% il consumo annuo di energia dei prodotti che rientravano nel suo ambito di applicazione. Tale vantaggio ambientale è ulteriormente migliorabile con una normativa ancor più capillare ed estesa.

Ma a chi serve avere un “passaporto digitale del prodotto” che ne evidenzi la sostenibilità ambientale? Certamente servirà al consumatore per permettergli di scegliere consapevolmente se comprare o meno il bene in base alle sue possibilità di riciclo. Servirà anche alle autorità per migliorare l’esecuzione di verifiche e controlli sul ciclo di vita del bene o sull’eventuale smaltimento e riciclo. Ma servirà anche al mercato dei rifiuti per prevenire l’eliminazione dei prodotti invenduti fissando, ad esempio, il divieto di distruzione di specifici prodotti tessili e articoli di abbigliamento.

Quello che l’UE vuole è dunque mitigare l’impatto ambientale di capi o accessori mai utilizzati, cresciuti a seguito del boom delle vendite online, beni anche invenduti il cui trasporto, distruzione o smaltimento rappresentano un vero e proprio spreco di risorse economiche per produttori, operatori del settore e mercato.

Passaporto digitale: quando entra in vigore

Le nuove regole sulla realizzazione eco-compatibile dei beni e sul loro passaporto digitale non entreranno in vigore presto: dopo l’approvazione occorreranno almeno 18 mesi per far adeguare gli operatori economici alle novità progettuali e due anni agli Stati per organizzare il sistema di vigilanza e sanzioni.

Si tratta dunque di una sfida a lungo termine per l’economia circolare europea che mira a zero emissioni entro il 2030 e come abbiamo visto a ridurre il traffico dei rifiuti. L’UE ritiene però essenziale coinvolgere tutti i soggetti del mercato: dal mondo industriale che il bene lo produce al consumatore che lo utilizza, all’operatore del riciclo, che ne cura il fine-vita.

Perché se è vero che un passaporto ti permette di indentificare il bene e le sue potenzialità di restare sul mercato e trovare “nuova vita”, occorre l’impegno di Stati e persone a rendere trasparenti e facilmente reperibili quelle informazioni. E provvedere poi al suo “destino” di riciclo e riuso o distruzione, solo quando le caratteristiche del bene lo consentano davvero.

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Antonio Mazzuca

Antonio Mazzuca

Dal 2007 sono redattore editoriale tecnico-giuridico esperto e formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Sono il coordinatore editoriale della Testata tecnica InSic.it e dal 2015 editore della testata culturale registrata Gufetto.press dedicata al mondo della cultura off per le quali scrivo news, articoli, recensioni, interviste e approfondimenti e svolgo formazione ai redattori sia per la parte critica che redazionale e per la scrittura in ottica SEO.

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