L’agricoltura, come molte altre attività antropiche, gioca un ruolo fondamentale nel rilascio di CO2 nell’atmosfera, contribuendo a rinsaldare gli effetti del cambiamento climatico. La deforestazione, l’agricoltura “taglia e brucia” e il prosciugamento delle zone umide sono, ancora oggi, attività comuni e abituali. Insieme, concorrono nel far sì che l’intero settore sfiori il 7% delle emissioni di gas serra su scala mondiale. L’innovazione, però, non si ferma davanti a niente e non risparmia un settore millenario come quello agricolo. Sta prendendo piede, negli ultimi anni, l’utilizzo di nuovo materiale chiamato biochar, che potrebbe rivoluzionare l’universo agricolo, sia in termini di efficienza e qualità del terreno che in termini di impatto ambientale.

Cos’è il biochar e come produrlo

Quello che oggi chiamiamo biochar, in origine veniva chiamato terra petra de índio. Parlando di biochar, infatti, occorre sottolineare come non si tratti di un’invenzione o scoperta attuale. È un materiale di origine antichissime, seppur rivisitato oggi in chiave sintetica. La “terra nera” (terra petra) fu un’ideazione delle popolazioni amazzoniche, che utilizzavano questa sostanza – composta da carbone, scarti di animale e pezzi di ceramica – per rendere fertile il terreno della foresta, altrimenti troppo acido e inadatto alla coltivazione.

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Oggi, il biochar si ottiene dalla pirolisi di diversi tipi di massa vegetale, come potature, stoppie di mais o grano, lolla di riso, o fogliame secco. Durante la pirolisi, ovvero la decomposizione termica della materia organica, la biomassa viene riscaldata a temperature elevate, che oscillano tra i 350G e i 700G. L’intero processo viene svolto in totale assenza di ossigeno, per scongiurare che si verifichi una combustione completa. Ciò che si ottiene è il biochar, un carbone vegetale stabile, poroso e ricco di carbonio.

Il biochar come soluzione per l’agricoltura

Il biochar presenta caratteristiche che lo rendono un importante alleato per l’agricoltura. La sua porosità, infatti, gli permette di trattenere acqua e nutrienti utili alle piante con molta facilità. Utilizzarlo come ammendante per il suolo migliorerebbe sia la fertilità che la struttura del terreno stesso. Diversamente dagli altri ammendanti a base organica, il carbone vegetale possiede una struttura carbonica che gli permette di essere molto più stabile nel terreno e, dunque, di essere degradato con tempi molto più lunghi dai microorganismi.

Migliora le caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche e meccaniche del terreno, con effetti positivi sulla fertilità per un periodo di tempo molto lungo. Talmente lungo che, ancora oggi, la durata dei suoi benefici non è stata ben definita. Basti sapere che in alcune aree amazzoniche in Brasile, per esempio, esistono appezzamenti di terreno particolarmente fertili grazie al fatto che gli indios, qualche migliaio di anni fa, ci abbiano interrato biochar come concime.

Biochar, un alleato importante per il clima

Le sue caratteristiche gli permettono di essere di aiuto non solo per l’agricoltura, ma anche dal punto di vista ambientale. Non a caso l’IPCC lo riconosce tra le più rilevanti strategie di mitigazione al cambiamento climatico. Il sistema biochar può contribuire alla limitazione della produzione di CO2 e a ridurre le emissioni di gas serra. Il sequestro di carbonio che permette di raggiugnere il biochar è notevole. Il processo di pirolisi con il quale viene prodotto, fa sì che il carbonio organico della pianta si trasformi in biochar, che immagazzina la CO2 delle piante al suo interno invece che rilasciarla nell’atmosfera come avviene quando i residui vegetali della pianta vengono bruciati.

Il bilancio climatico della pirolisi raggiunge il livello di 489 kg di CO2 dal ciclo di carbonio per ogni tonnellata di biomassa secca. Se altre fonti rinnovabili come il solare o l’eolico sono definite “carbon neutral”, il biochar può essere definito come “carbon negative” in quanto – oltre a non rilasciare CO2 nell’aria – sottrae anidride carbonica e gas serra dall’atmosfera.

Rende fertili i terreni migliorandone la qualità, contribuisce al sequestro di CO2 nell’atmosfera, e a usare meno acqua grazie alla sua porosità che agisce come una sorta di spugna. Il biochar può davvero rivoluzionare il settore agricolo, in termini di efficienza produttiva e di minor impatto ambientale. In Asia o in Africa occidentale, poi, potrebbe dare un contributo importante alla rigenerazione dei suoli impoveriti dalla deforestazione e dalla monocoltura. Occorre ora superare l’ostacolo del prezzo ancora troppo alto rispetto ai concimi e ammendanti tradizionali, che rimane un problema comune delle tecnologie emergenti.

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Tommaso Barbiero

Tommaso Barbiero

Nasce a Busto Arsizio, nel varesotto, 25 anni fa. Laureato in Scienze della Comunicazione, attualmente collabora con due testate giornalistiche: Buonenotizie.it e Sprint e Sport. Scrive di sport, ma anche di ambiente e sostenibilità. Crede nel potere della parola come strumento per fare buona comunicazione, che sia propositiva e costruttiva, oltre che seria e affidabile. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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