Parigi può essere considerata la vera metropoli europea. Potrebbe farle compagnia Londra, se si riuscisse a capire se Londra possa davvero considerarsi europea e non parte di un suo privato continente chiamato Inghilterra. Nell’attesa di capirlo crediamo si possa eleggere Parigi a capitale europea. Un essere vivo, che risucchia i pendolari, uomini e donne di tutte le nazioni,  fin dalle prime ore, per poi sputarli fuori dall’area urbana verso sera, in una congestione di auto, moto, bus. Una città in fermento, che sta allargando smisuratamente i suoi confini e la sua modernità, con decine di cantieri che espanderanno la sua già enorme Défense, la zona dei grattacieli scintillante di uffici e business. Parigi non è una, ma molte città in una, che lasciano il desiderio di altro tempo e di altri incontri in cui sondarne il complesso attraente carattere.

Per ritrovare il romanticismo dei racconti dei migranti del passato bisogna cercare con attenzione, scavare nei dettagli: vecchie botteghe di vicolo, l’architettura dei palazzi, alcuni pavimenti, il cappellino di una vecchia signora. La stessa Montmartre fatica ad essere vera, c’è qualcosa che la rende commerciale, impura, priva di gratuità, come se la storia si fosse travestita per creare marketing, vendere un dipinto, convincere a spendere in un locale tipico. Lo straniero è un potenziale cliente, non più un viaggiatore della stessa vita del quale conoscere la storia. Il panorama, la sera, da le Sacre Coeur non crea la geometria migliore, la linea delle strade richiede altre prospettive e un tempo più lungo, che non abbiamo ma che troveremo in futuro, per cercare le migliori.

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Le decine di cadenze straniere che sfuggono dal francese parlato svelano la storia delle migrazioni, anche quella degli italiani: costantemente qualcuno racconta di parenti del Bel Paese. Il legame con le colonie è tenacemente presente, cammina dovunque, con la pelle scura e il sorriso splendente del Continente Nero. Chissà se è questo legame fortissimo coi propri Paesi d’origine a spingere i sentimenti e i coinvolgimenti, anche di chi è nato in Francia da genitori stranieri, verso tutto ciò che accade altrove, tanto che i TG francesi dedicano buona parte dei loro servizi agli avvenimenti dei Paesi francofoni.

La zona degli attentati è solo uno dei quartieri di Parigi, una realtà distante, la cui paura è giunta quasi come l’eco di qualcosa di altro rispetto a coloro che vivono dalla parte opposta della metropoli. In Place de la République, l’area più coinvolta da quegli eventi funesti, molte persone sono infastidite dai tafferugli di diversi che si sono intrufolati nella pacifica manifestazione sul clima, perché ricordano i giorni del Bataclan e della mattanza ai tavolini dei ristoranti. Giornate di tensione, passate in casa, su ordine delle forze militari. In quei giorni andare al ristorante, al cinema, a teatro sembrava il sogno di un tempo libero che non sarebbe più tornato. Le forze dell’ordine in piccole squadre di giovani soldati, che probabilmente non hanno mai ucciso, girano per la città a regalare sicurezza, invano. Perché, nonostante gli sguardi della gente siano molto attenti ad ogni spostamento, volto, zaino, i parigini si fidano ancora della vita.

A Montmartre, Rue Saint-Louis, Saint-Vincent, lungo gli Champs-Élysées è solo l’inizio della settimana eppure la gente si muove tra i negozi come se fosse sabato, chiacchiera allegramente, si sposta con energia tra le strade, prende la metro e frequenta i locali.

Chiediamo ai baristi di un locale a Saint Germain se hanno paura. “No” – rispondono – “siamo la quinta potenza al mondo, non dimenticatelo“. Chiediamo se dopo gli attentati sono diminuiti i clienti. Ci rispondono che sì, sono un po’ diminuiti i clienti. Quelli stranieri. I parigini no. Loro bevono sidro, bicchieri di Bordeaux, mangiano taglieri di fromages, ridono, chiacchierano e vivono, seduti ai tavoli. Ma i locali all’interno sono vuoti.  I parigini sono di fuori. Non vogliono stare dentro. Tutti vogliono sedersi ai tavolini, quelli più vicini alla strada. A Parigi piace ancora affacciarsi lì.

Stefania Cornali, inviata di BuoneNotizie.it a Parigi

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Stefania Cornali

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