Aumentano gli obiettori di coscienza ma a garantire il diritto all’aborto intervengono le nuove tecnologie per monitorare gli ospedali disponibili.

In più di 20 ospedali d’Italia, dislocati tra Lombardia, Molise, Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Puglia, il 100% dei ginecologi nega l’interruzione di gravidanza (IVG) impedendo alle donne di usufruire della pratica, nonostante la legge 194/78 vieti che l’obiezione sia di struttura, ovvero il numero di medici obiettori di un ospedale non dovrebbe impedire gli interventi di IVG, assicurandosi che il servizio venga garantito ovunque. “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8.”

La percentuale degli obiettori di coscienza in Italia, aggiornata al 2020, è pari al 67% di ginecologi, al 43,5% di anestesisti e al 37,6% del personale non medico. Le situazioni più preoccupanti si riscontrano in Basilicata, Puglia, Molise e Sicilia, dove l’obiezione di coscienza è una pratica condivisa da più dell’80% dei medici.

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I dati sul fenomeno dell’abortività sono riportati nella relazione presentata annualmente dal Ministero della Salute al Parlamento sull’applicazione della Legge 194 e provengono dal Sistema di sorveglianza epidemiologica delle interruzioni volontarie di gravidanza, attivo nel nostro Paese dal 1980, che tra i diversi obiettivi, approfondisce l’impatto che l’esercizio della legittima obiezione di coscienza da parte del personale sanitario può avere rispetto alla disponibilità di accesso al servizio per le donne.

Tantissime sono le campagne nate in difesa del diritto alla salute delle donne tra le quali “Pro-choice. Rete italiana contraccezione aborto” e “Campagna Aborto al Sicuro”, che si battono per rispetto delle decisioni personali e private della persona sul proprio corpo, sia attraverso un’adeguata informazione sessuale e riproduttiva sia per garantire che l’obiezione di coscienza non limiti la persona nelle sue scelte.

La legge 194/78: una svolta importante non priva di ombre

L’approvazione della legge del 22 maggio 1978 che riporta le “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” rappresenta un traguardo non indifferente per l’Italia. Chiunque ricorresse all’aborto, prima del 1978, era punito con il carcere: la legge invece da allora garantisce alle donne il diritto fondamentale di decidere del futuro della propria gravidanza, permettendo loro di interromperla in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione. In seguito al quarto e quinto mese, si può ricorrere all’interruzione volontaria solo per motivi di natura terapeutica. Nel 2020 il numero di IVG risulta essere di 67.638 come dato provvisorio, valori in diminuzione rispetto al passato, considerando anni come il 1982, in cui si è osservato il più alto numero di aborti in Italia pari a 234.801 casi.

Permane una critica difficoltà nell’applicazione della legge per la presenza in aumento degli obiettori di coscienza, la cui scelta è tutelata dalla stessa giurisdizione all’articolo 9, usato spesso strumentalmente per impedire gli interventi d’interruzione di gravidanza. “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.”

L’inchiesta Mai Dati fa nuova luce sull’obiezione di coscienza

L’Associazione Luca Coscioni per verificare l’effettiva applicazione della legge 194/78 ha realizzato l’inchiesta “Mai Dati”, che punta ad evidenziare l’inefficienza delle informazioni messe a disposizione dal rapporto annuale del Ministero della Salute, in quanto giudicate “chiuse, aggregate per Regioni e molto vecchie.  A raccogliere ed elaborare i dati sono state Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina e coautrice della ricerca insieme a Sonia Montegiove, informatica e giornalista.

Dall’indagine emerge che in 13 strutture più dell’80% del personale medico e non medico è contrario all’interruzione.Già qui emerge una prima grande anomalia – precisa Chiara Lalli – Perché anestesisti e personale non medico possono obiettare, se l’articolo 9 della legge prevede questa possibilità solo per chi svolge attività ‘specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione di gravidanza’ e non per quelle antecedenti o conseguenti? E quando sono tutti obiettori che si fa? Si chiamano figure esterne? O si interrompe il servizio anche in quei casi?” La criticità del numero in aumento degli obiettori di coscienza rende necessario l’intervento di enti ed associazioni a tutela del diritto alla salute delle donne.

Dati aperti e una nuova app per una scelta consapevole

L’indagine non si ferma alla sola raccolta dei dati ma punta ad una svolta per aiutare le donne a tutelare la propria autonomia, attraverso la richiesta di dati aperti per ogni struttura ospedaliera che permettano così di scegliere a che struttura rivolgersi, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori.  Da qui è nata la richiesta di accesso civico generalizzato a ogni singola Asl censita dal Ministero, chiedendo il numero di obiettori diviso per ginecologi, anestesisti e personale non medico.

L’obiettivo è di giungere al termine dell’indagine con la realizzazione una app che geolocalizzi gli ospedali e i loro servizi in relazione all’obiezione. “E poi ci piacerebbe anche aprire ai cittadini la possibilità di contribuire magari chiedendo ai propri ginecologi se sono obiettori, o segnalando casi in cui viene rifiutata la pillola del giorno dopo – sottolinea Chiara Lalli – Dobbiamo mettere insieme più informazioni possibili, perché solo l’informazione ci libera dallo stigma”.

Aborto in Europa: tra Paesi in evoluzione e altri dove continua a essere impossibile

Con un referendum tenutosi a fine settembre, San Marino, con il 77% delle preferenze ha legalizzato l’aborto, dopo anni di battaglie da parte di donne costrette a spostarsi in Italia per interrompere la gravidanza. Quattro sono i Paesi in Europa dove è impossibile per chiunque ottenere l’aborto, ovvero Andorra, Malta, Vaticano e Gibilterra: il quadro reso pubblico dall’ European Abortion Policies Atlas 2021 mostra che in 14 paesi e territori, l’aborto rimane tecnicamente un crimine con rare o inesistenti eccezioni. I Paesi con un quadro legislativo più favorevole all’accesso al servizio sono quelli dell’Europa del Nord e dell’Ovest: il primato che va alla Svezia,  dove il servizio è concesso fino alla 24esima settimana di gestazione.

A fine giugno 2021 un passo in avanti è stato compiuto anche dal Parlamento Europeo, con l’approvazione della risoluzione che garantisce l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva delle donne: gli eurodeputati hanno affermato la necessità di frenare l’abuso dell’obiezione di coscienza, esortando inoltre a garantire l’educazione sessuale nelle scuole primarie e secondarie, al fine di ridurre episodi di violenza e molestie.

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Antonella Acernese

Antonella Acernese

Antonella Acernese, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it da settembre 2020 grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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