Da quando i talebani sono al potere, i diritti delle donne in Afghanistan sono costantemente limitati. Per questo, nonostante i divieti e la repressione, le attiviste manifestano quasi quotidianamente. “C’è un dissenso forte nel Paese nei confronti dei talebani. Gli afghani chiedono al mondo di non rimanere in silenzio su quanto sta avvenendo”, racconta a Buone Notizie Laura Quagliuolo del CISDA, Coordinamento italiano donne afghane.
L’associazione è stata costituita nel 2004, ma il CISDA è attivo a favore delle afghane dal 1999, quando hanno conosciuto le donne di RAWA, Revolutionary Association of Women of Afghanistan. Laura ricorda che rimasero stupide dall’incontro “perché immaginavamo la donna afghana solo sottomessa, invece loro sono laiche, intelligenti. Parlano inglese e hanno delle idee molto chiare su cosa fare per il loro Paese e per le donne”.

I talebani al potere

Nel 1999 i talebani erano per la prima volta al potere. Con la cacciata dell’Unione Sovietica che invase l’Afghanistan nel 1979 e tenne il potere fino al 1989, i talebani hanno governato l’Afghanistan dal 1996 al 2001. Come scriveva l’inviato inglese Robert Fisk nel libro Cronache Mediorientali: “La loro era una fede sunnita, la cui interpretazione della shari’a ricordava i più severi prelati del primo cristianesimo. Era facile associare il taglio della testa, quello delle mani a una prospettiva assolutamente misogina all’ostilità dei talebani per qualsiasi forma di svago. Non c’era bisogno di istruzione, né di televisione. Le donne dovevano stare in casa”. 

Dopo la guerra in Afghanistan condotta dagli Stati Uniti per gli attacchi alle Torri Gemelle, i talebani hanno perso parte dei territori. Nel 2020, con gli accordi di Doha firmati da Trump e dai talebani, quest’ultimi hanno riconquistato parte delle province afghane. L’accordo prevedeva il ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan e l’impegno dei talebani a rinunciare a ogni legame con il jihadismo transnazionale. A fine di agosto 2021, quando i contingenti militari hanno lasciato il Paese, la loro avanzata è diventata rapidissima e hanno instaurato l’Emirato Islamico dell’Afghanistan.

Violazioni dei diritti delle donne in Afghanistan

Da allora i talebani hanno approvato una serie di norme repressive sui diritti delle donne in Afghanistan. Hanno messo barriere per l’accesso alle donne al sistema sanitario, all’istruzione e ne hanno limitato la libertà di movimento e di associazione. Laura racconta che “prima dei talebani c’era il Ministero degli affari femminili, ora in questa sede hanno istituito il Ministero della propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Questo ministero sancisce i comportamenti, per cui le donne devono indossare l’hijab, il velo che copre capo e spalle, non possono percorrete più di 70 chilometri se non sono accompagnate da un parente maschio”.

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La maggior parte delle scuole secondarie femminili e tutte le università pubbliche sono state chiuse perché secondo i talebani si dovrà creare “un ambiente sano per l’insegnamento”. A inizio febbraio e solo in alcune province le università pubbliche hanno riaperto per la prima volta. Sono ammesse anche le donne in aule separate dagli uomini. Laura ricorda che l’Afghanistan è uno dei Paesi più poveri al mondo e che “l’80% delle donne afghane è analfabeta, questa situazione con i talebani è peggiorata, ma comunque nella maggior parte dei villaggi non ci sono scuole”. 

Il diritto al lavoro delle donne in Afghanistan

Le manifestanti afghane non rivendicano solo il diritto d’istruzione, ma anche quello al lavoro femminile. La maggioranza delle donne oggi non può lavorare. La giornalista Barbara Schiavulli su Radio Bullets racconta: “E in un Paese dove ci sono altissime percentuali di vedove, ora che non possono più lavorare se non a casa o in situazioni che non prevedono l’interazione con gli uomini, sono costrette a fare l’elemosina o a prostituirsi”.

Il CISDA insieme ad associazioni locali ha attivo il progetto di distribuzione di capre a vedove e famiglie bisognose. Laura racconta che “per le donne vedove dei villaggi una capra è un tesoro perché possono mandare avanti la famiglia”. Nella zona di Herat un altro progetto del CISDA permette a dodici donne di coltivare zafferano, un’alternativa alla coltivazione di oppio, diffusa largamente in Afghanistan. Ma, come ricorda Laura, “questo è possibile in zone dove il controllo dei talebani è minore”.

La resistenza oggi è supportata dai cellulari

Durante le proteste delle donne, i talebani disperdono le manifestanti con spray al peperoncino. Laura nota che “a differenza del precedente regime, adesso le ritorsioni sono notturne. Non arrestano nessuno. Le donne che protestano sono arrestate di notte e non si sa più nulla”.

Secondo Laura questo sta succedendo perché i talebani chiedono alla comunità internazionale che il loro governo sia riconosciuto e perché desiderano riceve aiuti umanitari. E “ora i cellulari e internet sono diffusi in Afghanistan e soprattutto a Kabul”, dice Laura, “quindi se succede una cosa per strada c’è subito qualcuno che filma e posta il video sui social. In questo modo la loro repressione è visibile all’estero e i talebani vogliono tenerla nascosta”.

Le afghane sono più organizzate rispetto al precedente regime, “stanno facendo rete”, dice Laura, “e questo anche grazie al supporto degli uomini. Non avrebbero potuto fare quello che hanno fatto in questi anni senza gli uomini”. Sui social, per esempio, la campagna #withoutmysisteriwillnotgotoschool esprime la solidarietà di ragazzi e giovani uomini che dicono: “Senza mia sorella a scuola non ci vado”.

La comunità internazionale non può voltarsi dall’altra parte

Quando chiediamo cosa può fare la comunità internazionale, Laura ha le idee molto chiare. Innanzitutto, “la comunità internazionale non dovrebbe riconoscere il governo dei talebani, non dovrebbe legittimarlo visto quello che stanno facendo”. In secondo luogo, l’Afghanistan ha bisogno di aiuti, è un Paese allo stremo e con una forte crisi economica. Ma secondo Laura questi aiuti non devono essere dati direttamente ai talebani, ma “devono essere portati dall’ONU e ripartiti alle organizzazioni della società civile che lavorano sul territorio. Solo in questo modo questi soldi potranno servire per aiutare davvero la popolazione”.

Finora il governo talebano non è stato formalmente riconosciuto da nessun Paese. L’Unione Europea ha riaperto l’ufficio diplomatico a Kabul, mentre questa settimana a Ginevra una delegazione talebana incontra la Croce Rossa e funzionari svizzeri ed europei per colloqui sugli aiuti. Secondo il ministro degli esteri svizzero, “la delegazione avrà colloqui sull’accesso umanitario, la protezione degli attori umanitari e il rispetto dei diritti umani, ma la visita non comporta alcun riconoscimento diplomatico del regime”.

Il mese scorso a Oslo una delegazione talebana ha avuto colloqui simili con diplomatici occidentali. Era presente anche Hoda Khamoush, donna afghana invitata dal governo norvegese come rappresentante della società civile, che nel suo discorso ha detto: “il nuovo capitolo della nostra lotta per l’Afghanistan, che rispetta i diritti e l’uguaglianza di tutti i cittadini, in particolare delle donne, è iniziato cinque mesi e otto giorni fa, e abbiamo molta strada da fare. La comunità internazionale non dovrebbe chiudere gli occhi su di noi. Nella speranza della libertà e dell’uguaglianza”.

 

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Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine, laureata in Scienze politiche e Relazioni internazionali con un Master in Comunicazione istituzionale. Lavoro in Rai da diversi anni. Giornalista pubblicista e tutor del laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista

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