Afghanistan fra talebani e soldati. Abbiamo intervistato due giovani afghane: per le donne c’è ancora speranza.

A più di due mesi dal primo attacco in Afghanistan, in risposta alle promesse USA di concludere la missione durata vent’anni, il Paese continua a vivere nel caos. Dopo il salvataggio di civili e stranieri, con le immagini ancora vivide dell’aeroporto di Kabul invaso da decine di persone in fuga, chi resta in Afghanistan cerca di prepararsi alle restrizioni, consapevole che questo sia solo l’inizio di un lungo periodo buio e di instabilità. A soffrirne sono coloro che non hanno denaro per pagarsi una scuola privata, e le donne, costrette a rimanere in silenzio e accettare il nuovo regime.

Abbiamo intervistato Zeinab e Samira: cugine afghane, ormai veronesi, che ci hanno dato le loro impressioni sui cambiamenti che sta affrontando l’Afghanistan, in particolare sulla figura della donna. Zeinab è studentessa universitaria in Relazioni Internazionali. Samira ha studiato Letteratura Inglese e insegna in un scuola di lingue.

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Le parole chiave usate dai talebani: istruzione e donne

“Sono arrivata in Italia quando avevo 3 anni con i miei genitori e i miei due fratelli – racconta Zeinab – Non ricordo bene il mio Afghanistan, ma sono fiera di essere una donna afghana. Ricevo sempre le foto della parte della famiglia che è rimasta lì e, ora che la situazione è così complessa, sono molto preoccupata per loro.

In molti hanno lasciato il Paese e gli attentati continuano ad essere sempre più intensi. L’Afghanistan di oggi è come una macchina senza conducente e tutto può ancora succedere. Nonostante ciò, credo però che nei prossimi mesi, alcuni annunci fatti dai talebani potranno rientrare. Come quello dell’abolizione dell’istruzione femminile o la minaccia di rendere sempre più dura la condizione della donna. Sicuramente i talebani sanno che queste tematiche sono un elemento per attirare l’attenzione del mondo.

Questo è un aspetto molto complesso e forse merita di essere analizzato più nel dettaglio: in Stati così duramente assoggettati da forme repressive, la figura della donna non è mai stata molto valorizzata. E’ vero che le donne hanno avuto più libertà negli ultimi anni, ma il concetto di libertà è assolutamente diverso rispetto a quello delle donne occidentali. Sono quindi convinta che le donne riusciranno comunque a far sentire la loro voce. I talebani stessi non sono più quelli di vent’anni fa: anche loro hanno conosciuto gli effetti della globalizzazione e sanno che non potranno soffocare troppo la popolazione. Inoltre sono certa che i talebani dovranno cambiare il loro approccio: già oggi stanno cercando appoggio internazionale per essere riconosciuti come nuovo governo e questo farà necessariamente cambiare loro alcune prese di posizione”.

La cultura che farà emergere la voce della donna

“Io sono arrivata a Verona a 9 anni – spiega Samira – Ricordo tante cose del mio Paese. Non sono più tornata, ma ho sempre nutrito la speranza che il governo di Ghani e l’uscita degli americani avrebbe dato nuovo stimolo alla gente del posto. Tutto è stato diverso ma, nonostante ciò, dobbiamo vedere questo primo periodo fra l’uscita degli americani e la presa di nuovi poteri come il massimo picco di instabilità: ora i talebani stanno facendo vedere che si sono risvegliati, anche perché tutto l’Occidente ha gli occhi puntati su di loro. Allo stesso modo l’Isis sta cercando di portare avanti il sogno di creare un unico califfato, creando una guerra civile all’interno di una guerra civile.

Ad oggi in questo marasma di fatti e attentati, vengono vomitate parole (dai talebani stessi) che sono un evidente segno del tentativo di dominare con il terrore la popolazione e attirare l’attenzione internazionale, toccando argomenti sensibili. A differenza di Zeinab, io credo che le donne saranno limitate e che questa situazione di instabilità si protrarrà per parecchi mesi. Ho però anche la consapevolezza che le famiglie più colte (come la nostra) manterranno una certa apparenza all’esterno, ma dentro casa lasceranno che la figura della donna emerga

La voce della donna tornerà a farsi sentire in Afghanistan

“I nostri parenti sono rimasti in Afghanistan decisi a non abbandonare il Paese – continua Zeinab – Fra di loro ci sono alcuni intellettuali che credono che nei prossimi anni questo clima di oppressione cambierà. Spesso paragonano l’Afghanistan al primo periodo della Repubblica Islamica dell’Iran, dove tutto appariva buio e fortemente diverso rispetto al periodo precedente: donne in burqa, censure ai libri di testo e limitazioni per l’istruzione e le arti. A poco a poco, anche la figura della donna tornerà ad avere una sua voce e questo succederà anche in Afghanistan: la globalizzazione e le alleanze politiche creeranno una nuova rivoluzione interna, che migliorerà la loro condizione. Le donne delle famiglie di ceto medio e alto, riusciranno, anche se non pubblicamente, a mantenere la loro indipendenza, esattamente come è accaduto sino ad ora. Poi toccherà alle zone più povere”.

“Molto spesso l’Afghanistan è associato ai talebani e alle donne, ma c’è molto di più – aggiunge Samira – L’Afghanistan è un Paese principalmente rurale: molte aree sono costituite da villaggi e da pochi scambi, e l’istruzione è un privilegio per chi vive in città o ha una famiglia di ceto medio. Nelle aree più semplici e rurali le donne non hanno mai potuto avere una voce, neppure quando si millantava quella parvenza di democrazia portata dall’Occidente: le donne non sono mai state realmente libere. Sono convinta che adesso, con la grande attenzione mediatica e l’intervento delle associazioni internazionali, donne e bambine potranno avere un futuro migliore di quello che pensiamo. Il vero problema sono gli attentati e le varie diatribe fra talebani e l’Isis, che stanno creando tanto rumore per attirare l’attenzione e che, come sempre, colpiscono la popolazione innocente”.

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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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