Lo Sri Lanka, chiamato “la lacrima dell’India”, da alcuni mesi è sconvolto da una crisi economica senza precedenti. Sono passati dieci anni dalla fine della lunga guerra contro l’esercito di liberazione Tamil, che ha sterminato famiglie intere, rivoluzionato pensieri e tradizioni, infranto sogni e speranze.

Dal 2012 lo Sri Lanka si è liberato da quest’ombra di guerra, divenendo una realtà multi culturale e aperta al turismo. La sua peculiarità è stata la tolleranza e il rispetto della popolazione: musulmani, cristiani e buddisti, uniti sotto la stessa bandiera, fra i palazzi di Colombo e le palme di Jaffna. Nel 2019, però sono iniziati alcuni attentati che hanno minato la tranquillità del paese e ha iniziato a percepirsi  il sentore di una crisi economica. La pandemia, infatti, ha portato con sé una grande crisi economica e sociale, che è stata inasprita con la guerra fra Ucraina e Russia.

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Le lacrime dello Sri Lanka: il carburante che non c’è

Sugat Narayana è nato a Kandi, nel nord dello Sri Lanka. Dopo la guerra tamil, è arrivato a Venezia, dove lavora e ha creato una famiglia. Negli ultimi due anni segue la storia dello Sri Lanka da lontano a causa della pandemia e ora della crisi economica.

“Sono nato nella città di Kandi – racconta Sugat in un pomeriggio di metà giugno, nella sua casa a Venezia – quando è scoppiata la guerra ero un ventenne pieno di idee e voglia di fare. Ho tenuto in mano macheti, fucili e visto amici morire. Nel 2000 ho capito che se fossi rimasto lì, mi sarei arreso alla morte. Fortunatamente un amico è riuscito a convincermi a chiedere asilo politico e a volare in Europa. Dopo un periodo di disorientamento ho capito che era la mia occasione per aiutare altri connazionali. 

Cerco di aiutare la mia famiglia inviando loro del denaro, ma mi rendo conto che il problema è la gestione economica del Paese e questo fenomeno rischia di protrarsi nel tempo. Lo Sri Lanka è strangolato dai debiti e questo ha creato lo scoppio della guerra economica. Non solo non c’è lavoro e la sanità è ridotta all’osso, ma non c’è più carburante. Il sistema politico è corrotto e ora si cerca di negoziare con altri paesi asiatici, per non andare in completa bancarotta. Mio cugino John vive a Colombo e racconta del caos in cui lo Sri Lanka sta cadendo: proteste, guerriglie e fame stanno devastando la mia terra“.

La crisi economica, i prestiti e le possibili soluzioni

John Narayana vive a Colombo. Il 23 giugno 2022, ci ha chiamati da un bar di Colombo, per aggiornarci sull’evoluzione della crisi economica. La chiamata è stata interrotta più volte a causa dei blackout, che sono ormai all’ordine del giorno, in tutto lo Sri Lanka.

“Sono John, cugino di Sugat – si presenta John – vivo a Colombo e mi occupo di turismo. In questi tre anni, fra il Covid, l’assenza di turisti e la corruzione economica, lo Sri Lanka è entrato in uno stato di guerra. Non abbiamo più soldi: lo Sri Lanka ha chiesto alcuni prestiti alla Cina in periodi non sospetti, ma ora non riusciamo più a risanare il debito. La crisi economica è violentissima: per la prima volta in vita mia ho visto bambini denutriti e famiglie allo sbando. Inoltre il presidente aveva proibito l’utilizzo di fertilizzanti chimici, e questo ha creato una crisi agraria, perché i raccolti sono stati scarsi e non abbiamo più riso: bene di cui prima eravamo grandi produttori.

A maggio il primo ministro Ranil Wickremesinghe ha annunciato che non avremmo avuto più luce, né carburante. Il popolo è quindi insorto: questo è stato “il risveglio dei leoni di Ceylon”, così si chiamano gli abitanti dello Sri Lanka. Il nostro ruggito sembra essere servito: la situazione sta lentamente migliorando. Il presidente si è dimesso e questo sta dando nuova speranza a noi cittadini dello Sri Lanka. Il nuovo governo ha chiesto aiuto al Fondo Monetario Europeo. La crisi economica non si risolverà presto, ma la Cina ha proposto un ulteriore aiuto e questo potrebbe risollevarci”. 

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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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