Amnesty International a maggio di quest’anno ha pubblicato il report sulla situazione relativa all’applicazione della pena di morte nel 2022. Il rapporto mette in luce anche come la comunità internazionale potrà adoperarsi per aiutare gli Stati, in cui la pratica è ancora in vigore, ad abolirla.

Uno sguardo generale sulla pena di morte nel 2022

Il report ha rilevato che l’anno appena trascorso ha registrato il più alto numero di condanne a morte avvenute dal 2017.

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Sono ben 883 le esecuzioni documentate effettuate in 20 Paesi. Cifre terribili che risultano superiori del 53% rispetto a quelle del 2021 e che, come detto, sono le più alte riscontrate dal 2017. Va aggiunto che tali dati sono comunque inferiori al picco registrato nel 2015.

Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto che il numero esatto di esecuzioni capitali non lo sapremo mai con certezza. In Paesi come la Cina, la Corea del Nord e il Vietnam risulta praticamente impossibile avere dati certi a tal proposito. Per cui, assai probabilmente, tali stime devono essere arrotondate per difetto.

Pena di morte: una forte diplomazia umanitaria per invertire il trend

Esecuzioni a livello globale (2013-2022). Fonte: Amnesty International

Medio Oriente e Nord Africa alla base della forte crescita della pena di morte

Secondo il report di Amnesty International, un aumento così consistente di condanne alla pena di morte è dovuto alle situazioni politiche e sociali presenti in Medio Oriente e nel Nord Africa. In queste regioni le esecuzioni capitali sono aumentate del 59% rispetto al 2021, passando da 520 a 881. La cosa veramente “impressionante” (è il termine impiegato nel report) è che il 93% delle esecuzioni documentate nel mondo (esclusa la Cina) si registra proprio in queste aree.

Scendendo in dettaglio, la classifica degli Stati che effettuano più condanne vede in prima posizione l’Iran e in seconda posizione l’Arabia Saudita. Nel Paese sciita si è passati dalle 314 esecuzioni emesse nel 2021 alle 576 comminate nel 2022. Un aumento dell’83% che fa riflettere e che del resto fotografa il periodo di drammatica tensione sociale e politica che sta vivendo il Paese.

In Arabia Saudita, invece, i dati colpiscono ancor più se considerati in un arco temporale più ampio. Infatti le 196 condanne effettuate nel 2022 risultano essere non solo di gran lunga superiori alle 65 dell’anno precedente, ma soprattutto “il numero più alto registrato nel Paese in 30 anni”.

Pena di morte e Stati Uniti: un legame ancora vivo

Se però pensaste che l’Occidente si tiri fuori facilmente da questa macabra classifica, ebbene vi sbagliereste. Perché i dati di Amnesty ci dicono che anche negli Stati Uniti d’America le esecuzioni capitali sono in aumento. Sono passate, infatti, dalle 11 del 2021 alle 18 del 2022.

Un dato che di certo non passa inosservato e che fa ritornare d’attualità uno dei temi spinosi che da sempre fa discutere la società statunitense. L’aspetto positivo che sottolinea l’organizzazione umanitaria, tuttavia, è che tale cifra risulta essere tra le più basse di sempre.

Un aspetto che certamente mostra una traiettoria declinante che fa ben sperare. Ma che può mutare direzione assai facilmente e sulla quale occorre vigilare. Ed è proprio questo il monito che Amnesty lancia ai lettori quando si sofferma sulle principali cause di condanna a morte.

Si apprende infatti che Arabia Saudita, Cina, Iran e Singapore guidano la classifica per la punizione dei delitti di droga. E il diritto internazionale umanitario proibisce la pena di morte per quei reati che non sono considerati “tra i più gravi”. Ossia tra quelli non sono diretti a provocare la morte intenzionalmente.

I Paesi abolizionisti e la diplomazia umanitaria

A fronte di questi dati vi sono anche notizie positive che giungono dalla regione centroasiatica e non solo. Tra gli Stati che hanno abolito la pena di morte vi è infatti il Kazakistan, che l’ha ufficialmente eliminata dal codice penale nel gennaio 2022. In Oceania, invece, troviamo la Papua Nuova Guinea, mentre in Africa hanno abolito la condanna capitale lo stato della Sierra Leone e quello della Repubblica Centroafricana.

Ma quale potrebbe essere una delle soluzioni per giungere nel più breve tempo possibile a far considerare la pena di morte come una misura non opportuna e perfino ingiusta? Anzitutto vanno evidenziati i rilevanti passi avanti che sono stati fatti in materia sotto l’egida dell’Onu.

Lo scorso dicembre, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ratificato a maggioranza dei suoi membri la moratoria universale sulla pena di morte. E i Paesi che l’hanno ratificata sono aumentati, dimostrando così che la sensibilità su questo tema cresce e si diffonde efficacemente.

Questo dato, però, è importante anche sotto un altro aspetto: esso infatti suggerisce la via maestra da percorrere. Perché, in fondo, le risposte alla domanda postaci poc’anzi possono darcele solamente un’azione internazionale congiunta e una efficace diplomazia umanitaria.

Ossia una diplomazia che investa risorse nella solidarietà e che faccia riscoprire l’autentico valore della condizione umana, valendosi anche dell’apporto religioso. Inoltre, immaginare delle “scale di aiuti” da destinare a ciascuno Stato, in proporzione ai progressi fatti sul terreno dei diritti umani, costituirebbe una “messa alla prova” ed uno stimolo per migliorare sempre più.

 

 

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Diego B. Panetta

Diego B. Panetta

Giurista con specializzazioni in campo notarile, societario e canonistico. Accanto alle norme, una grande passione per la retta filosofia, senza la quale codici e leggi possono ben poco. Autore di tre libri, collabora inoltre con riviste specializzate e testate online, tra cui BuoneNotizie.it.

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