In Iran il 18 dicembre è stata arrestata Taraneh Alidoosti, popolare attrice di fama internazionale, accusata di aver sostenuto nei social le proteste di piazza contro il governo. Quotidianamente il regime reprime con violenza il popolo iraniano, ma a dispetto degli arresti, delle torture, delle sparizioni e delle morti, la rivolta in Iran continua. La giurista iraniana e attivista dei diritti umani Zara Tofigh spiega che per comprendere l’inarrestabile lotta delle donne contro il regime islamico e contro la Sharia, bisogna risalire al 1925, quando lo scià Reza Khan Pahalavi inizia ad attuare una politica di modernizzazione del Paese.

Il monarca Khan nel suo progetto politico di avvicinare l’Iran al mondo occidentale promulga una costituzione laica, separata dalla religione, approvando leggi per l’emancipazione delle donne. Il figlio, lo scià Reza Pahalavi, prosegue il programma di occidentalizzazione. In pochi decenni le donne iraniane ottengono il diritto di voto, di iscriversi all’università, di accedere alle carriere pubbliche e politiche, di divorziare, di scegliere se indossare il velo, ma nel 1979 ha luogo la rivoluzione religiosa sciita. Si instaura il regime islamico che abroga i diritti acquisiti dalle donne. Sostituendo la costituzione laica con le norme giuridiche contenute nel corano, la Sharia, le donne si ritrovano catapultate indietro nella Storia.

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I diritti negati dalla Sharia

Durante il periodo degli scià Pahalavi, fu attuata la riforma del diritto di famiglia con protezioni per le donne in questioni come il divorzio e la limitazione della poligamia: l’età legale per contrarre il matrimonio per le donne fu decisa a diciotto anni e l’aborto fu regolamentato.

Come illustra la giurista iraniana Zara Tofigh: “Purtroppo, con l’avvento della repubblica islamica nel 1979, in Iran si è interrotto il processo di modernizzazione. I mullah fondamentalisti erano contrari al modello occidentale perché allontanava il popolo dai principi del Corano. Sostituirono la legislazione laica con la Sharia, una interpretazione rigida del Corano e il Diritto Religioso cancellò i diritti delle donne.”

Il regime abrogò il codice di famiglia promulgato dallo scià, compresa la limitazione alla poligamia, e, continua la giurista: “Fu reintrodotta la pena di morte per adulterio e la fustigazione per atti illeciti. L’età per la donna per contrarre matrimonio fu riportata a nove anni, quindi a quattordici. Fu varato il codice di comportamento con l’obbligo di portare il velo, di coprire braccia e gambe, il divieto di vestire in modo succinto, e l’obbligo di nuotare al mare vestite.” A vigilare, fu istituita la polizia morale.

Per deduzione analogica, i giuristi religiosi limitarono alle donne lo sport in pubblico, fu vietato loro di entrare negli stadi, di andare in bicicletta, di sentire la musica, di cantare come soliste, di ballare. Fu vietato abbracciarsi per strada tra persone di sesso diverso. Fu imposta una rigida discriminazione tra i sessi nelle scuole e negli ospedali.

Il potere politico dei mullah è divino

In Iran gli imam detengono il potere politico. Sono guide spirituali e giuristi. In quanto detentori del sapere religioso, si ritengono rappresentanti di Dio sulla terra. Secondo la loro interpretazione, contestarli significa contestare il Corano, andare contro Allah. Ritenendosi portavoce di Maometto, spodestarli significa deporre il Profeta. La forza del loro potere religioso rende difficile la rivolta.

Le donne protestano contro le discriminazioni, ma nel Corano è stabilito il principio di superiorità maschile: «Gli uomini sono un gradino più in alto» e così, afferma la giurista, la discriminazione ha permeato tutti i settori: “La giustizia viene amministrata dai religiosi maschi e per questo motivo la donna in Iran può fare l’avvocata, ma non il giudice. Tutte le giudici istituite al tempo dello scià furono private del loro incarico. Il presidente della repubblica islamica non può essere una donna. Il principio di superiorità maschile si applica anche in tribunale dove la testimonianza delle donne vale la metà di quella dell’uomo, per ogni uomo che testimonia ci vogliono due donne.”

Anche per l’eredità il Corano attribuisce alla donna la metà del valore dell’uomo: «Allah vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine». La potestà genitoriale è esclusivamente dell’uomo. Quando una donna divorzia i figli vengono affidati al padre, e se muore il padre, l’affidamento dei figli passa ai nonni paterni.” Ed infine, quando una donna decide di studiare o lavorare, deve avere il permesso dal coniuge.

Le donne non sono sole nella lotta

Oggi la società civile è andata avanti: “Padri, mariti, fratelli hanno cambiato mentalità e contestano il regime islamico che discrimina. Gli iraniani partecipano alle manifestazioni seguite all’uccisione di Mahsa Amini. Anche i giovani sono alleati nella lotta delle donne. Cresciuti con internet e in famiglie dove la donna è rispettata, protestano nelle scuole e nelle piazze contro i mullah. E infine gli anziani: il loro sentimento religioso è radicato, ma anche loro si ribellano alla ferocia del regime.”

Nel 1979 Oriana Fallaci, intervistando l’Ayatollah Koemini, denunciava la dittatura islamica. Oggi, dopo quarantatré anni, per le strade le donne gridano: “Donna, vita, libertà. Morte al dittatore Ali Khamenei”, il leader supremo religioso-politico dal 1989. Combattono con coraggio per i loro diritti. Non si può fermare la Storia.

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Lucia Massi

Lucia Massi

Avvocata, assistente universitaria in U.S.A., interprete del tribunale di Roma e promotrice di cultura italiana presso la F.A.O. Le lauree conseguite in Italia e all’estero, incluso un Ph.D. presso la Columbia University di New York, attengono alle discipline giuridiche e letterarie. Laureata in giornalismo, collabora con BuoneNotizie.it.

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