“Sperimentare la speciale presenza del Signore”. La missione che svolge la parrocchia della Sacra Famiglia, a Gaza, potrebbe essere sintetizzata con queste parole. A pronunciarla è padre Gabriel Romanelli, sacerdote argentino, alla guida della parrocchia da oltre 6 anni, in una video-intervista rilasciata al Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella di Gaza è l’unica parrocchia presente nella Striscia. Attualmente offre rifugio e protezione a seicento persone, tra cui anche musulmani. Dall’inizio del conflitto, la parrocchia è diventata esempio di convivenza pacifica, testimonianza concreta di quanto le fedi possano offrire quando a prevalere sia l’attenzione verso l’umanità sofferente.

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Il Patriarcato latino di Gerusalemme, una storia che viene da lontano

Quando si associano le parole Palestina e Chiesa cattolica, è praticamente impossibile omettere di parlare, sia pur brevemente, della realtà spirituale e amministrativa incarnata dal Patriarcato latino di Gerusalemme.

Ristabilito nel 1847, il Patriarcato estende la sua giurisdizione sui fedeli cattolici di rito latino residenti in Israele, Palestina, Giordania e Cipro. In questo territorio così esteso, il Patriarcato conta circa 328.000 fedeli. Il suo epicentro naturale è la basilica del Santo Sepolcro o della Resurrezione, a Gerusalemme. Sito che ospita i luoghi ove Cristo venne crocifisso e fu sepolto, per poi risorgere tre giorni dopo. Da ottocento anni l’Ordine francescano ha in custodia la basilica, condividendone la proprietà con la Chiesa greco-ortodossa e la Chiesa armena apostolica.

Dall’anno della sua restaurazione, il Patriarcato ha la gestione diretta delle attività spirituali e pastorali, oltre che di Gerusalemme, anche dei territori palestinesi, inclusa la Striscia di Gaza. Nell’area territoriale gestita direttamente dal Patriarcato l’85% dei cristiani è di lingua araba.

La parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza

Padre Romanelli spiega che nello spicchio di territorio palestinese rappresentato da Gaza si trova uno dei luoghi santi più importanti. Secondo la Tradizione, infatti, quando la sacra famiglia fuggì da Betlemme verso l’Egitto, prese la via del mare, passando dunque da Gaza. Qualche tempo dopo, il medesimo itinerario venne percorso a ritroso, una volta che la sacra famiglia fece ritorno a Nazareth.

Gaza, però, oltre che fisicamente, è stata attraversata da Gesù anche spiritualmente. Fin dalla sua predicazione, infatti, in questa striscia di territorio si è venuta a formare una comunità cristiana salda e tenace. Non a caso Gaza ha i suoi santi e martiri, ricorda il sacerdote. Dopo il conflitto scoppiato lo scorso 7 ottobre, a seguito dell’attacco perpetrato da Hamas ai civili israeliani, nei locali della parrocchia hanno trovato rifugio circa 600 persone.

Parliamo principalmente di parte della minoranza cristiana presente nella Striscia (che ammonta a millediciassette persone, di cui centotrentacinque di confessione cattolica) ma non solo. Le porte restano comunque aperte a tutti, cristiani e musulmani. “L’alba a Gaza arriva prima che altrove”, dicono gli sfollati presenti nei locali della parrocchia, “qui non scende mai il buio della notte”, il quale è frequentemente interrotto dal bagliore delle bombe.

Gaza, le attività pastorali della parrocchia della Sacra Famiglia e della comunità cristiana

La parrocchia cerca di offrire riparo alle persone che hanno avuto la casa danneggiata dalla furia dei bombardamenti. Durante uno di questi, la sera del 19 ottobre, l’aviazione israeliana ha ammesso di aver bombardato la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, che ospitava 411 persone. Le bombe hanno provocato la morte di diciannove persone.

Alle attività spirituali classiche (preghiera e celebrazione dei sacramenti), si alternano momenti di svago e convivialità, per provare ad immaginare un futuro diverso all’insegna della pace e della solidarietà reciproca. Solidarietà e vicinanza che peraltro papa Francesco cerca di non far mai mancare durante le sue telefonate quotidiane.

Intanto, nelle cinque scuole cristiane (di cui tre cattoliche) le attività didattiche restano temporaneamente sospese. Gli sforzi umanitari, invece, continuano, sia pur in mezzo a molte difficoltà, senza distinzione di fede, razza e lingua. “Usciamo solo per esigenze improrogabili, come visite mediche particolari o per trovare cibo, medicine, acqua di cui abbiamo effettivo bisogno”, dice George Anton, direttore amministrativo di Caritas Jerusalem a Gaza, all’Agenzia d’informazione SIR (18 novembre).

L’ultima parola, sarà la speranza a pronunciarla

Attualmente l’esercito israeliano staziona intorno alla parrocchia, che è stretta attorno a due fuochi. In momenti come quelli che sta vivendo la Striscia il male appare inesorabile, invincibile e il grido di rabbia si leva anche tra le suore della parrocchia. “A Gaza nessun posto è sicuro. Questo non è umano. Mi chiedo dove siano finiti tutti quei governi, specialmente europei, che si dicono difensori dei diritti umani(Agenzia SIR).

Ma è la speranza a pronunciare l’ultima parola nelle conversazioni dei religiosi, così come in quelle dei laici. “L’unica arma che abbiamo per difenderci è la preghiera che ci dona la luce per guardare avanti con fiducia”, spiega suor Nabila. Quello di “guardare avanti con fiducia” è un compito che la presenza cristiana deve continuare ad alimentare con le armi della fede e della carità, non arrendendosi alle funeste logiche di guerra, spiega padre Romanelli.

Sono questi, in fondo, gli armamenti più adatti per scatenare quella che papa Francesco ha definito con il nome di “offensiva di pace”.

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Diego B. Panetta

Diego B. Panetta

Giurista con specializzazioni in campo notarile, societario e canonistico. Accanto alle norme, una grande passione per la retta filosofia, senza la quale codici e leggi possono ben poco. Autore di tre libri, collabora inoltre con riviste specializzate e testate online, tra cui BuoneNotizie.it.

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