Francesco Schiavone, uno dei due storici capi del clan originario di Casal di Principe, in provincia di Caserta, inizierà a collaborare con lo Stato; è questa la notizia lanciata il 30 marzo dal quotidiano “Cronache di Caserta”. Il capo camorra è detenuto dall’11 luglio 1998, quando venne arrestato in uno spettacolare blitz all’interno di un bunker sito nella cittadina del casertano. La decisione di collaborare con la giustizia, tuttavia, deve essere accolta con serena cautela. Andranno, infatti, attentamente soppesate le dichiarazioni che deciderà di fornire, gli eventuali meccanismi che svelerà, gli intrecci tra criminalità e politica che riterrà utile denunciare. Ad ogni modo, la scelta della collaborazione segna uno spartiacque simbolico difficile da cancellare.

Chi è Francesco Schiavone

Parlare di “Sandokan” – nome con cui era conosciuto per la vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi, interprete della celebre serie televisiva di metà anni ’70 – significa sfogliare le pagine di storia della provincia di Caserta, e in particolar modo del clan camorristico lì egemone.

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Nativo di Casal di Principe, dopo la scomparsa ancora misteriosa dello storico fondatore del clan, Antonio Bardellino, avvenuta nel 1988 in Brasile, insieme a Francesco Bidognetti prende la guida del cartello camorristico. In breve tempo il clan dei casalesi si consoliderà come una delle più importanti e potenti organizzazioni criminali italiane ed internazionali.

Il clan ha avuto letteralmente in mano il mondo della politica e dell’imprenditoria. Per non parlare del racket delle estorsioni, della gestione del ciclo dei rifiuti e di quello del cemento. Il gruppo criminale si è da sempre contraddistinto per un fiuto degli affari particolarmente spiccato. A questa capacità associava una potenza di fuoco impressionante, in grado di vincere guerre criminali che hanno contribuito a portarlo alla ribalta.

I collaboratori di giustizia: un’idea di Giovanni Falcone

Per porre argine al fenomeno della criminalità organizzata, Giovanni Falcone promosse l’introduzione del programma di protezione per i collaboratori di giustizia (l. 82/1991). Istituto che è stato rafforzato nel 2001, prevedendo il limite massimo di 180 giorni per la resa di informazioni utili alle indagini da parte dei collaboratori. La normativa del 2001 ha inoltre stabilito una netta distinzione tra collaboratore e testimone di giustizia.

In sostanza, il testimone è un individuo non coinvolto attivamente nei reati per i quali offre la propria testimonianza. Il collaboratore di giustizia, invece, sottoscrive un contratto con lo Stato. In cambio di informazioni rilevanti sull’organizzazione criminale di cui ha fatto parte o con cui è entrato in contatto, lo Stato gli riconosce un’ampia gamma di benefici, protezione e sostegno economico per sé e per i familiari.

Nel 2021, il direttore del Servizio centrale di protezione, il generale Paolo Aceto, audito dalla Commissione parlamentare antimafia, ha affermato che il numero attuale dei collaboratori di giustizia ammonta a poco più di un migliaio di persone, di cui 964 uomini e 43 donne.

L’arresto di Francesco Schiavone e il contributo dei collaboratori di giustizia

Grazie al Servizio centrale di protezione voluto da Falcone, è stato possibile celebrare il processo Spartacus. Parliamo di uno tra i più importanti processi sulla criminalità organizzata, durato dal 1998 al 2010, condotto proprio a carico del clan dei casalesi. A dare avvio alle indagini della Direzione investigativa antimafia nel 1993, sono state infatti le rivelazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, già membro del clan nonché cugino dello stesso boss di Casal di Principe.

La collaborazione di quest’ultimo ha permesso alla magistratura di ricostruire la genesi del gruppo criminale, i meccanismi interni, le articolazioni con il mondo imprenditoriale e politico, le modalità di sversamento dei rifiuti tossici e tanto altro. Tutto questo, così come per altri casi, è stato reso possibile proprio grazie al ruolo peculiare dei collaboratori e alla straordinaria intuizione di Giovanni Falcone.

Fonte:

[1] Commissione parlamentare antimafia – Audizione del direttore del Servizio centrale di protezione

 

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Diego B. Panetta

Diego B. Panetta

Giurista con specializzazioni in campo notarile, societario e canonistico. Accanto alle norme, una grande passione per la retta filosofia, senza la quale codici e leggi possono ben poco. Autore di tre libri, collabora inoltre con riviste specializzate e testate online, tra cui BuoneNotizie.it.

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