Il 12 novembre si è conclusa la visita del Presidente Sergio Mattarella nella Repubblica Popolare Cinese. Il fatto pare aver rinverdito l’interesse dell’opinione pubblica sui rapporti tra Italia e Cina, che sembravano deteriorati dopo l’uscita del nostro Paese, nel 2023, dagli accordi economici della discussa “Nuova via della seta”, il piano commerciale cinese per aprire le rotte nel continente eurasiatico.
In realtà le relazioni bilaterali tra le due nazioni non sono mai cessate. Ciò che è cambiato è la posizione del nostro Paese nell’intricata rete delle relazioni economiche, alla luce delle recenti evoluzioni geopolitiche. Prima fra tutte, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca.
Cosa c’entra? Se da un lato l’elezione di Trump poteva essere più o meno auspicata, dall’altro la politica protezionistica, annunciata da anni, del neoeletto Presidente degli Stati Uniti non può che far reagire l’economia di tutto il resto del mondo.
È questo il caso dell’Italia, ed è questa la causa del recente viaggio del nostro capo di Stato?
La Nuova via della seta, cos’è
Quella che in Italia conosciamo come “Nuova via della seta” è un’iniziativa economica cinese che nel resto del mondo si chiama “One Belt One Road” (Una cintura una strada). Una politica commerciale ideata dal presidente Xi Jinping nel 2013, volta ad assicurare alla Cina 6 nuove rotte commerciali tra Asia ed Europa.

Una di queste vie passava per l’Italia. Nazione strategica nel Mediterraneo, con forti interessi tra il Corno d’Africa e il Mar Rosso, il nostro è stato il primo Paese europeo e membro del G7 ad aderire al piano nel 2019. Ciò accadde tirandosi addosso le critiche dei Paesi con economie più vicine agli Usa e delle altre Potenze europee, come Francia e Germania, poco inclini a vedere di buon occhio le iniziative private degli Stati all’interno della UE.
Cosa è cambiato?
La visita del Presidente Mattarella della scorsa settimana, che abbiamo riportato nei punti salienti proprio qui su BN, non è una decisione dell’ultimo minuto. Come accade sempre per quanto riguarda i viaggi di Stato, la visita era stata programmata molto tempo prima dell’uscita dell’Italia dall’accordo, ed è stata preceduta dai viaggi del ministro per lo Sviluppo Economico, degli Affari esteri, del presidente del Consiglio.
Quando l’Italia lasciò la Nuova via della seta era il dicembre 2023. L’Europa era alle prese con la crisi energetica e la guerra in Ucraina, cominciata l’anno prima, non sembrava voler cessare. In questo contesto, la Cina assumeva un comportamento ambiguo. Che ruolo avrebbe assunto? Mediatrice nei rapporti con la Russia o avversaria? C’era Biden alla Casa Bianca e Trump, con la sua politica sui dazi, era uno spettro lontano, tanto più, forse, ineleggibile. Era il momento di schierarsi.
La Cina, oggi, abbiamo necessità di farla più vicina, perché una lotta commerciale su due fronti (ammesso e non concesso che Trump imponga realmente dazi all’Europa) non giova a nessuno. Meglio tenere certe porte aperte.
Cosa interessa alla Cina che l’Italia può offrire
La Cina, nostra prima rotta commerciale in Asia, ha da offrire il suo enorme mercato interno, una tecnologia avanzata e una capacità produttiva colossale.
L’Italia, la qualità della sua manifattura e della componentistica di precisione, cose che la Cina apprezza e ricerca; un’economia abbastanza stabile da permettere ai suoi cittadini di avere potere d’acquisto per consumare prodotti cinesi (non si può dire la stessa cosa dei cinesi coi nostri prodotti d’eccellenza). Oltre al fatto che l’Italia è Paese fondatore UE e, quindi, con voce in capitolo nelle decisioni sulla politica economica europea.
Questi sono i reciproci vantaggi nell’import-export accennati dal Presidente Mattarella nel suo discorso all’Università di Pechino. Ciò di cui è carente il rapporto tra i due Paesi, e su cui bisogna lavorare attualmente, è l’equilibrio negli investimenti.
Secondo la Camera di commercio italiana in Cina, le aziende italiane presenti sul territorio sono oltre 1.600 con un volume d’affari di oltre 27 miliardi di euro. Gli investimenti cinesi in Italia, fermi al 2023, sono pari a 2,7 miliardi. Uno zero che oggi pesa.
È opinione, nell’ambiente economico, che se due parti approfondiscono la reciproca conoscenza gli affari ne giovano. E l’Italia torna a casa con una nuova cattedra in Studi Italiani all’Università di Pechino. Se non un inizio è quantomeno un’apertura.

