Per 100 giorni a Vilnius, capitale della Lituania, un grande orologio ha scandito lo scorrere del tempo. Un conto alla rovescia che conduceva a una data storica per Estonia, Lettonia e Lituania: una data attesa per 34 anni. Quell’orologio si è fermato domenica 9 febbraio quando, con una cerimonia a cui hanno presenziato diverse personalità politiche nazionali ed europee, e presieduta dalla Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, i tre Paesi baltici si sono definitivamente scollegati dalla rete elettrica della Russia, per collegarsi a quella europea.
Un’indipendenza attesa, pianificata per diciotto anni e realizzata con enormi investimenti nelle infrastrutture, che per questi Paesi ha il sapore di libertà e sicurezza. Il suo raggiungimento si ripercuote positivamente su tutto il resto d’Europa, segnando un passo in avanti soprattutto per quanto riguarda i temi di transizione energetica e stabilità dei prezzi.
I Paesi baltici, la Russia, l’Europa e l’indipendenza energetica
Dopo il crollo dell’Unione sovietica, nel 1991, i Paesi baltici, da quel momento indipendenti, sono rimasti collegati alla rete elettrica della Russia. Una scelta obbligata. Separarsi significava investire ingenti quantità di denaro per rafforzare le proprie infrastrutture energetiche, cosa che l’economia di questi Paesi, appena usciti dal controllo diretto dell’URSS, non potevano sostenere. In più, mantenere rapporti di scambio con la Russia, colosso energetico, era conveniente dato che i prezzi erano bassi e non c’era un’alternativa (in assenza di un‘ Unione Europea come la conosciamo oggi).
La stessa Europa per anni ha comprato energia russa per i medesimi motivi di convenienza, cosa che si è rivelata un’arma a doppio taglio quando nel 2022 la Russia ha invaso per la seconda volta l’Ucraina. Un passo che ancora ricordiamo, tra difficoltà di approvvigionamento energetico, impennata dei prezzi che per mesi hanno creato timori nei cittadini e difficoltà economiche nelle imprese. Il timore dei Paesi baltici che la Russia potesse bloccare il flusso di energia a piacimento, e così influire sull’andamento dei prezzi a scapito dell’economia e della sicurezza, si è rivelato essere lo stesso dell’Unione.
La rete elettrica europea
Dal 2022 il progetto REPowerEU intende andare verso una duplice direzione: indipendenza energetica al livello europeo e transizione energetica con l’obiettivo fissato di autonomia dai combustibili fossili entro il 2050. Intenzioni che si traducono in investimenti confluiti nei fondi per i PNRR dei vari Stati membri per rafforzare le reti elettriche nazionali e che a loro volta confluiscono in una grande rete internazionale, quella europea.
I benefici sono molteplici e non coinvolgono solo i Paesi baltici e la Russia. Un continente elettricamente collegato permette di creare un mercato interno sostenibile, che esiste già, dove si vende e si compra energia prodotta in modi differenti: combustibili fossili, rinnovabili e provenienti dalle centrali nucleari. Questa differenziazione delle fonti energetiche e questo bacino comune consentiranno di acquistare meno energia all’estero, e di tenere stabili i prezzi.
Questo influirebbe positivamente sui costi di produzione delle imprese, grandi, medie e piccole e quindi sull’economia. Confcommercio, nel suo ultimo rapporto avverte come da gennaio 2024 ad oggi i costi dell’energia in Italia siano cresciuti del 24%. Il suo presidente, Carlo Sangalli, auspica da subito una “revisione della formazione del meccanismo dei prezzi e approvvigionamenti tramite acquisti congiunti europei“. E prosegue: “di particolare importanza sarà accelerare sul nucleare di ultima generazione e potenziare la produzione rinnovabile“.
Differenziazione energetica
Sul rinnovabile l’Italia ha parecchie cose da migliorare. Alla fine del 2024 l’Europa ha raggiunto l’importante traguardo di produrre più energia da fonti rinnovabili che da combustibili fossili, oggi sotto al 40%. Stando ai dati Eurostat, l’organo di statistica UE, l’energia elettrica italiana è prodotta al 37% da fonti rinnovabili e il resto esclusivamente da combustibili fossili. Esattamente il contrario. Quei Paesi baltici che si sono scollegati dalla Russia contribuiscono a immettere energia pulita in Europa per il 76% ( la Lettonia) e per il 73% la Lituania.
Dato che l’Italia non possiede cospicui giacimenti fossili e non produce energia nucleare (che consente alla Francia di garantirsi il 62% del proprio fabbisogno riducendo al 14% l’uso dei fossili) deve comprare altrove quel 63% di combustibili per produrre energia elettrica.
Contribuire alla differenziazione di produzione energetica pulita in Europa è il prossimo passo fondamentale, oltre a continuare a lavorare per trovare alternative energetiche.

