Il primo marzo si sono svolte in Iran le elezioni che hanno visto, in particolare le donne, disertare in massa le urne. Sulla scia della giornata dedicata alle donne, vi portiamo la loro voce: per comprendere i risultati che hanno portato alla disubbidienza civile per sabotare il regime.

Il Paese è ormai da 45 anni sotto la dittatura religiosa islamica, controllato da due poteri. Il primo è rappresentato dall’Assemblea degli Esperti Religiosi e guidato dalla Guida Suprema l’Ayatollah Ali Khamenei. Il secondo è quello politico del Parlamento, i cui candidati sono rigorosamente selezionati dai mullah religiosi. Nessuna delle richieste avanzate dalle donne sui loro diritti è stata presa in considerazione. E così la protesta delle iraniane si è espressa con il non-voto.

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La protesta del non-voto alle elezioni in Iran: intervista alla giurista iraniana Zahra Toufigh

Secondo Zahra Toufigh, attivista per i diritti: «L’affluenza alle votazioni in Iran per il Parlamento è stata la più bassa di sempre in quanto le donne, come forma di protesta contro le oppressioni, hanno scelto di non votare. Sono 45 anni che le donne subiscono la dittatura teocratica, la rigida imposizione dei principi religiosi dell’Islam interpretati dagli Ayatollah, che hanno dimezzato i loro diritti. Le rivolte delle donne – continua la giurista iraniana – sono esplose dopo la morte di Masha Amini, uccisa dalla polizia morale il 16 settembre 2022 perché la ragazza aveva una ciocca di capelli che le fuoriusciva dal velo.

Il regime, temendo la diserzione dalle urne e per dare un’immagine differente del Paese alle televisioni straniere, ha cercato in tutti i modi di convincere la popolazione ad andare a votare. Il capo religioso ha diffuso l’appello «Deludete i Malvagi». E così il regime ha anche promesso alle donne la libertà di non indossare il velo alle urne.

«Questa era una trappola dentro la quale le donne non sono cadute – chiarisce Zahra Toufigh – la promessa del regime di poter votare senza velo non significa nulla. La posizione subalterna delle donne rimane la stessa ed il regime islamico continua ad opprimerle negando loro i diritti. Votare senza velo non avrebbe apportato nessun cambiamento ai loro diritti. Da qui l’importanza della protesta del non-voto.

Il tam-tam in Iran sui social media: non votate alle elezioni

«Per quanto l’Iran cerchi di bloccare i social media – conclude Zahra Toufigh intervistata– la connessione Internet è ormai indispensabile per i rapporti economici e così la chiusura della rete non può mai essere totale. La censura è stata aggirata con il passaparola sui social e nelle strade: non si deve andare a votare. Solo con il non-voto si de-legittima il regime. Dalla prigione è arrivata la voce del premio Nobel per la pace 2023 Narges Mohammadi, attivista iraniana, vice-presidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani imprigionata dalle autorità iraniane dal maggio 2016. Anche dal carcere è uscito l’incitamento a non votare così da togliere legittimità al regime agli occhi della comunità internazionale.”

I dati rilasciati dal regime dopo le votazioni in Iran parlano di una affluenza alle urne del 41%, ma fonti non ufficiali stimano una partecipazione di circa il 30% nel Paese e del 15% nella capitale Teheran. Tra questi c’è chi è favorevole al governo e chi è stato costretto in quanto minacciato della perdita del posto di lavoro. Questo è successo soprattutto nel pubblico impiego, come tra insegnanti e infermieri. Molti poveri sono stati pagati dal regime per esprimere il loro voto a favore. Per le donne, la loro opposizione e rabbia verso l’oppressione del regime teocratico è stata ferma. Il boicottaggio è passato con la disubbidienza civile.

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Lucia Massi

Lucia Massi

Avvocata, assistente universitaria in U.S.A., interprete del tribunale di Roma e promotrice di cultura italiana presso la F.A.O. Le lauree conseguite in Italia e all’estero, incluso un Ph.D. presso la Columbia University di New York, attengono alle discipline giuridiche e letterarie. Laureata in giornalismo, collabora con BuoneNotizie.it.

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