PIL e crescita non sono sempre sinonimi di benessere. Eppure è solo su questi indici che ci soffermiamo ogni volta che vogliamo migliorare l’economia. Ma se questo è stato il nostro modo di pensare prima della pandemia, non dobbiamo commettere lo stesso errore anche adesso. Potremmo approfittare di questa crisi pandemica per ripensare l’economia dalle fondamenta, in modo da trasformare questo momento di debolezza in un punto di forza. E questo a maggior ragione se si considera che, pandemia a parte, ci rimangono solo 10 anni per risolvere un altro problema che ci riguarda tutti: i cambiamenti climatici. Si tratta di dare origine a una nuova economia che metta al centro non più il PIL ma la qualità della vita e dell’ambiente. E, quindi, il benessere dell’uomo.

L’appello degli scienziati sui cambiamenti climatici

Per capire la necessità di questa evoluzione dobbiamo riferirci al 2018. Proprio negli ultimi mesi di quell’anno, infatti, gli scienziati dell’IPCC (gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici) hanno redatto un rapporto in cui si evidenzia l’urgenza di ridurre le emissioni della metà entro il 2030 e renderle pari a zero entro il 2050. Il che significa agire non domani, ma già da oggi. E deve interessare il mondo nella sua totalità. A cominciare dai Paesi ricchi che, per primi, dovranno ricorrere a fonti di energia alternativa, come accade per tutti gli Stati, tanto del Vecchio Continente quanto dell’America del Nord.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Le risposte del mondo

Certo, questo appello non è caduto nel vuoto. E questa, di per sé, è già una buona notizia. Basti pensare a ciò che è successo negli USA, dove Alexandria Ocasio-Cortez ha realizzato un progetto per raggiungere l’obiettivo di immettere nell’atmosfera quanti meno inquinanti possibile, nell’ottica di quello che è stato definito il Green New Deal. Per non parlare di quello che è successo a Londra poco dopo la pubblicazione del rapporto sul clima: per attirare l’attenzione pubblica sul clima sono stati bloccati cinque ponti della Capitale dell’Inghilterra. Un gesto eclatante per portare il governo a proclamare lo stato di emergenza climatica.

Pure in politica c’è un iniziale cambiamento in questo senso. Basti pensare a quanto è accaduto in Nuova Zelanda, il cui Primo Ministro nel 2019 ha affermato di voler abbandonare il PIL in favore del benessere. E della stessa idea sembrano essere sia la Scozia che l’Islanda. E ciò che sorprende è l’interesse delle persone verso queste tematiche, segno che sono pronte a cambiare in positivo.

Ecco perché un migliore livello di PIL non migliora la vita

Ma perché il PIL e il benessere sono così separati tra di loro? Semplice: perché gran parte della ricchezza prodotta grazie alla crescita finisce per arricchire maggiormente chi lo è già e impoverire i meno abbienti. Insomma, avendo come stella polare il PIL il divario tra ricchi e poveri invece di ricucirsi si amplifica. Ed è per questo motivo che lo sviluppo economico avvantaggia solo i pochi a discapito di tutti quanti gli altri. Insomma, continuare su questa strada ne va della salute del nostro Pianeta. Che fare, allora, per invertire questa tendenza?

Le soluzioni per la crisi climatica e per il benessere collettivo

Innanzitutto bisogna abbandonare l’idea di crescita. Fatto ciò, bisogna rigorosamente investire in maniera consistente nel settore pubblico. In secondo luogo, è necessario che i Paesi più ricchi diminuiscano consistentemente la loro fame di energia, in modo da rendere il più breve e semplice possibile il passaggio all’uso delle energie rinnovabili.

Ma come fare? Beh, rivolgendo questa richiesta alle industrie, dato che sono loro a richiedere più energia e a inquinare di più. Meglio ancora, potremmo chiedere di diminuire la quantità di risorse utilizzate tanto per la produzione quanto per il consumo. Utopia? Niente affatto se si considera che gran parte di quel che viene prodotto viene praticamente buttato nella spazzatura dopo poco tempo. Basti pensare all’obsolescenza programmata, tanto in ambito tecnologico quanto in quello della moda. Un comunissimo smartphone è stato progettato per installare continuamente aggiornamenti. Se questi ultimi da un lato lo rendono più sicuro, dall’altro lo fanno diventare talmente lento nell’uso da doverlo quindi buttare via. Discorso molto simile riguarda la moda cosiddetta veloce, in quanto questo genere di vestiti sono pensati per il consumo immediato e per passare di moda altrettanto in fretta.

Altre soluzioni “economiche”

Uno degli elementi cardini del marketing tradizionale, e anche digitale, è quello della pubblicità che mira a rendere necessario e di vitale importanza ciò che in realtà non lo è. E da qui si genera lo spreco perché si aumentano i consumi e, per di più, su prodotti di scarsa utilità pratica. Andando così ad aumentare l’inquinamento. E’ possibile bloccare questo processo introducendo l’obbligo di garanzie più estese nel tempo e disincentivando la pubblicità consumistica. In tal modo, allungando la vita media degli oggetti tenderemmo ad acquistarne e a consumarne di meno. Riducendo, così, anche i materiali necessari a produrli, le spedizioni e l’energia per realizzarli. Senza dimenticarci dei rifiuti, che sarebbero praticamente la metà di quelli di oggi.

Ma non finisce qui. Altre soluzioni da mettere in atto sono l’utilizzo dei pullman o bus di città per gli spostamenti, la riduzione del consumo di carne e la scelta dei settori che sarebbe meglio far decrescere. In questo modo la richiesta di energie diminuirebbe, consentendoci di effettuare in maniera indolore il passaggio alle rinnovabili.

Certo, puntando sulla decrescita dei consumi potrebbero diminuire anche i posti di lavoro. In una situazione normale ciò può accadere; ma, in una situazione come la nostra in cui non ci possiamo permettere più il lusso di rinviare queste scelte a un futuro imprecisato, potremmo ridurre la settimana di lavoro, con tre giorni liberi. Che potrebbero essere compensati introducendo un reddito universale. L’impatto sul benessere è a dir poco eccezionale: lavorando di meno, saremmo più felici utilizzando meno energia.

Perciò, potremmo utilizzare in maniera costruttiva questo tempo che, a causa del coronavirus, ci obbliga a rimanere in casa. Riformulando una nuova economia con al centro non più il denaro, non più i consumi, non più il PIL ma il benessere di tutti. Perché ne guadagneremmo tutti.

Leggi anche:

Economia della felicità: perché oltre al reddito c’è molto di più

Dal Prodotto Interno Lordo al Benessere Interno Lordo

Non dimenticare: i disastri e le crisi tirano fuori il meglio dalle persone

Perché non serve preoccuparsi del coronavirus: numeri, emozioni, percezioni e infodemia

Come migliorare le relazioni migliorando la nostra comunicazione

Casa e coronavirus: 10 consigli per non farsi travolgere dall’ansia

Condividi su:
Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici