La delocalizzazione dei call center è una tematica spinosa dal punto di vista sindacale. Negli anni e con alterne vicende, si è registrata una gestione della problematica, non sempre in linea con le priorità dei lavoratori e la qualità attesa dai clienti. La pandemia ha cambiato le sorti dell’evoluzione del settore.

Delocalizzazione call center: i primi provvedimenti del 2017

Nel 2017 i call center vivevano una crisi di settore, determinata da vari fattori. Il costo del lavoro rappresentava circa l’80% dei ricavi complessivi. La turnazione di risorse registrava volumi bassi, ragione per la quale il personale meno giovane aveva più difficoltà a a essere ricollocato, all’interno dello stesso settore lavorativo o anche in altri settori. Un discreto numero di imprenditori, prevalentemente operanti nel settore terziario, ha deciso di delocalizzare i call center nei Paesi dell’Europa orientale, laddove il costo del personale era nettamente più basso, per vincere le gare d’appalto e le commesse.

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Per contrastare le delocalizzazioni di massa, nel 2017 si rese necessario varare un protocollo call center, contenuto nella legge di bilancio di quell’anno (art. 1 comma 243). Il protocollo è stato applicato a tutti i call center, indipendentemente dal numero di occupati. Obiettivo principale del protocollo è quello di scoraggiare la delocalizzazione dei call center.

Delocalizzazione call center: i dettagli del protocollo

Al protocollo sulla delocalizzazione dei call center hanno aderito aziende quali NTV – Italo, Unicredit, Intesa Sanpaolo, i big della telefonia (Vodafone, Wind 3, Tim), Sky, Eni, Mediaset. Nel dettaglio, questo protocollo prevede l’obbligo di comunicazione entro trenta giorni dalla decorrenza del provvedimento,  al Ministero del Lavoro, al Ministero dello Sviluppo Economico e al Garante della Privacy. L’erogazione di benefici fiscali viene preclusa a tutti gli operatori economici che delocalizzano l’attività di call center in nazioni non facenti parte dell’Unione Europea.

Il cliente deve avere facoltà di scegliere se essere seguito da operatore che risponda da paese UE o non UE. Particolare attenzione è data, dall’accordo, al trattamento dei dati personali dell’utente, che deve avvenire nel rispetto delle norme UE. Il 95% del totale delle attività del call center deve essere svolto in Italia. Il costo del lavoro non deve mai scendere sotto le soglie stabilite dai sindacati di settore e dai contratti collettivi nazionali.

Dalla teoria alla pratica: alcune soluzioni

È pur vero che non tutti i mali vengono per nuocere. La pandemia da Covid-19 ha segnato un punto di svolta nella conversione di alcune mansioni in operatori di call center. La chiusura di punti operativi fisici ha avuto come conseguenza la virtualizzazione di alcune attività. I lavoratori hanno svolto le loro mansioni in regime di smart working o di telelavoro. Ad esempio i bancari, in servizio in filiali chiuse o accorpate in operazioni di fusione tra istituti, hanno riconvertito la loro operatività da fisica in virtuale, come gestori di filiali online.

Rispetto alla filiale fisica, il rapporto con il cliente è virtuale (operazione che, in molti casi, ha consentito maggiore protezione da rischi di contagio). I costi fissi, di gestione del quotidiano, si riducono sia per l’azienda che per i dipendenti. I margini di guadagno aumentano. I clienti, dal canto loro, familiarizzano con i nuovi processi di home banking e rendono sé stessi  autonomi dal punto di vista operativo, o comunque più consapevoli del valore della consulenza e della gestione dei loro patrimoni.

Menzione ulteriore merita Unicredit: pioniera delle attività di remote banking, sta valutando di allargare l’orario di operatività del suo Servizio Clienti anche al sabato pomeriggio. Secondo fonti sindacali interne all’istituto, sarebbero al vaglio attività di reskilling (ovvero, recupero operativo) del personale, soprattutto se competente in materia di assistenza alle carte di pagamento.

Evoluzione del settore oltre l’ambito bancario

Covisian, società operativa nel settore dei call center, ha vinto a metà del 2021 l’appalto per l’assistenza clienti di ITA, la nuova Alitalia. Intenzione di Covisian era quella di chiudere i poli operativi di Palermo e Rende, delocalizzare l’attività di customer care in Romania e licenziare 621 lavoratori. Grazie a efficaci proteste di lavoratori e sindacati, nell’autunno dello stesso anno è arrivata la marcia indietro: i poli di call center non sarebbero stati chiusi e Covisian si è resa disponibile a farsi carico dei lavoratori, impiegati presso l’altro colosso dei call center, ovvero Almaviva, che gestiva l’assistenza clienti di Alitalia.

Una volta in più, le battaglie sindacali hanno avuto ragione nel tutelare il settore delle telecomunicazioni. Oggi questo settore vanta un fatturato di più di 2,8 miliardi di euro e si rivela strategico a livelli occupazionali e di sviluppo economico e tecnologico.

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Donatella Bruni

Donatella Bruni

Mi occupo di economia, lavoro e società, con uno sguardo alle dinamiche del lavoro, ai consumi e ai cambiamenti della società (fisica e digitale). Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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