La pandemia ha sdoganato in tutto il mondo e anche in Italia l’utilizzo dello smart working da parte delle aziende. I dipendenti si sono adattati a questo nuovo stile di lavoro e di vita e valutano positivamente lo strumento. In alcuni casi lo smart working si è declinato nel cosiddetto south working: le persone delle aziende del nord o del centro lavorano in remoto dall’Italia del Sud, dove spesso nelle città d’origine risiedono le loro famiglie.

Il lavoro dal Meridione in remoto è ormai giunto a due anni di vita. I vantaggi della formula sono ancora validi, mentre occorre uno sforzo ulteriore per raggiungere gli obiettivi di sviluppo delle infrastrutture necessarie per rendere il south working una realtà stabile e in crescita: tra le varie sfide quella del portare la fibra FTTH in tutta Italia ricopre un ruolo centrale.

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I tre ingredienti del south working

South Working è anche il nome dell’associazione, nata a marzo 2020, che ha come obiettivo la sensibilizzazione all’uso del lavoro in modalità remota dal Sud Italia, quale strumento per alleggerire il divario economico e sociale fra Nord e Meridione. Secondo South Working, sono tre le infrastrutture da creare o potenziare per rendere agibile il lavoro smart dal Sud del Bel Paese: mobile, sociale e digitale.

Per infrastruttura mobile si intendono le modalità di trasporto che permettono lo spostamento delle persone e delle risorse tra Nord e Sud. Per quella sociale si intende l’individuazione di spazi idonei ad ospitare degli ecosistemi di lavoratori in smart working, come ad esempio luoghi di lavoro e di condivisione culturale.

L’infrastruttura digitale è forse l’ingrediente di base che determina il successo o meno del south working. Si tratta di rendere accessibile a tutti i cittadini del Meridione una connessione Internet veloce, che renda possibile lavorare da remoto senza problematiche tecnologiche. Su questo ultimo punto l’Italia ha avviato delle importanti progettualità, di concerto con le politiche comunitarie, per dotare tutto il territorio della penisola di moderne connessioni di rete.

Connessione efficiente anche al Sud con la banda ultralarga

Nel 2015 il Governo Renzi approvò il Piano BUL o Strategia italiana per la banda ultralarga, che aveva come obiettivo finale quello di portare la fibra ottica nelle zone fino a quel momento servite da una connessione Internet con velocità limitata e basata sulle vecchie reti telefoniche in rame.

La Commissione Europea nel 2013 aveva introdotto l’esistenza di tre categorie di aree, rispettivamente bianche, grigie e nere, che distinguono la tipologia di infrastruttura di telecomunicazione presente nel territorio. Ogni area è caratterizzata da una propensione degli operatori telefonici privati a compiere un investimento.

In particolare, le aree nere identificano le quelle zone in cui sono presenti investimenti di diversi operatori telefonici, nelle aree grigie è identificabile un singolo operatore e le aree bianche rappresentano le zone a fallimento di mercato, cioè nelle quali nessun privato ha convenienza ad investire. Per portare il servizio di banda ultralarga nelle zone bianche è necessario l’intervento statale. Tramite Infratel, azienda controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico, sono state individuate le tipologie di investimento statale e si è dato il via ai lavori per la costruzione dell’infrastruttura FTTH.

Il PNRR e lo sviluppo delle fibra nel Sud Italia

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato il 27% delle risorse alla transizione digitale. Circa 6,7 miliardi di Euro saranno dedicati all’implementazione della Strategia per la Banda ultralarga, una continuazione della progettualità iniziata nel 2015 dal Governo. La disponibilità di una connessione ultra veloce ha reso possibile una serie di miglioramenti dal punto di vista dei servizi pubblici, come i servizi delle PA, della scuola, della sanità locale ma anche dell’attività delle imprese. Il south working è divenuto realtà perché molte zone del Sud Italia dove non era possibile disporre di un collegamento ad Internet efficiente sono oggi servite o verranno implementate entro il 2026.

Le opportunità del south working

Affrontato il problema delle telecomunicazioni e sdoganato l’accesso a internet, il south working ha iniziato a convincere sempre più aziende. Le statistiche parlano di 2 imprese italiane su 3 che si dichiarano disponibili ad aprire un hub nel Sud Italia. Le motivazioni addotte sono differenti: dal contributo alla crescita e alla riduzione del gap tra Nord e Meridione, all’accesso a nuove figure professionali, a una volontà di diminuire i costi.

Molte aziende hanno fatto da pioniere, aprendo hub nel Sud Italia che oggi sono già operativi. È il caso delle multinazionali della consulenza Bip, Accenture e Deloitte che sono arrivate a Palermo, Bari e Cosenza. Un caso simile è quello di Randstad, colosso della ricerca del personale, che ha nel 2021 inaugurato una sede ad Aliano, in provincia di Macerata.

Buone notizie arrivano anche da Predict, azienda che si occupa di soluzioni innovative nel settore healthcare che ha aperto una campagna di assunzione per la sede di Bari rivolta a candidati con profili specializzati nei campi scientifici.

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale. Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese. Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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