Più che un giorno di commemorazione, l’8 marzo è (ed è giusto che sia) un giorno di bilanci. E diciamocelo, è anche un giorno in cui si tende a considerare principalmente i bilanci in negativo. Quelli in cui i conti non tornano e la somma delle cose che non funzionano finisce per oscurare i passi avanti che si sono fatti.

Come può parlare della Festa della donna un giornale che si chiama “Buone Notizie” e che ha un titolo – quindi – molto vincolante? Mi trovo a farlo in qualità di direttore responsabile donna e questo, già di per sé, dà al mio editoriale un valore aggiunto in termini di bilanci e di responsabilità. Cosa vuol dire essere donna oggi? Al netto di due anni di pandemia e di una congiuntura storica difficilissima come quella attuale – con una guerra importante proprio dietro l’uscio di casa – una cosa è certa: la realtà ha presentato a noi tutti, donne e uomini, delle sfide importanti e ci ha spinti direttamente in pole position. Il mondo cambia, è già cambiato e cambierà ancora come in fondo ha sempre fatto, solo che adesso il ritmo del cambiamento ha subito una brusca accelerazione.

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E’ cambiato il mondo del lavoro ponendo a tutti, forse soprattutto alle donne, nuove sfide ma anche nuove opportunità. I lockdown e il vertiginoso incremento dello smart working sotto forma di lavoro da remoto hanno in parte acuito le differenze di genere. Inutile nasconderselo: molte donne che lavoravano, hanno dovuto scegliere tra il loro ruolo professionale e quello di madre. In termini di gender equality, le differenze uomo-donna si sono acuite sotto diversi aspetti: non prenderne atto sarebbe un errore. Il quadro va però circoscritto a una situazione di emergenza che ha travolto tutti esasperando problematiche già esistenti alla luce di nuove difficoltà. Ma cosa resterà di queste trasformazioni nel futuro prossimo e che segno assumeranno per le donne? Lo smart working, in nuce, ha tutti i numeri per poter rappresentare un’opportunità. Per le donne forse anche più che per gli uomini. Perché questo succeda, però, dovranno giocoforza essere rimossi alcuni ostacoli. Immagini presentate come positive, con mamme che lavorano col sorriso sulle labbra tenendo un bambino in braccio, non solo non sono realistiche ma rischiano di fare più male che bene. Il lavoro da remoto diventerà un potente acceleratore di cambiamenti quando diventerà davvero smart working, ovvero “lavoro intelligente”. Cioè anche con il supporto di incentivi mirati.

Ma veniamo a un altro tema nevralgico che riguarda le donne e che negli ultimi anni abbiamo sotto gli occhi praticamente tutti i giorni: la violenza di genere. Una tematica tristemente all’ordine del giorno e particolarmente enfatizzata dai media. Che bilancio possiamo darne in un giorno come questo? Su Buone Notizie, ne abbiamo parlato in questo articolo e personalmente avevo già trattato il tema qualche anno fa, spiegando come in realtà – dati alla mano – gli omicidi che hanno le donne come vittime siano diminuiti negli anni. E sottolineando come l’effetto distorsivo, che ci fa pensare a un problema in crescita, sia dato sostanzialmente da due elementi: da una parte, il fatto che gli omicidi che hanno come vittime gli uomini siano diminuiti in modo più marcato, dall’altra il fatto che oggi le donne denuncino molto più di una volta. Più denunce = maggior autocoscienza. Il fatto che, sul piano della percezione, questo si traduca nella sensazione che il fenomeno sia in aumento è un altro paio di maniche e su questo i media hanno pesanti responsabilità.

Che le donne, finalmente, denuncino ciò che fino a pochi anni fa era tenuto sotto silenzio, è un’ottima notizia. Ma questo non basta perché le donne continuano comunque a morire. Ci sono ancora molte cose da cambiare e in questo senso, qualcosa lo potremmo fare anche noi giornalisti spostando il focus dai particolari più sensazionalistici e morbosi ad altre indagini più utili. Trovando cioè altre domande, ad esempio: in quali contesti si denuncia di più e quali fattori hanno contribuito a questo incremento? Si tratta di fattori scalabili in altri contesti e se sì, come? Dove le denunce sono aumentate di meno e perché? Quante denunce rimangono ancora inascoltate e per quali motivi? Quali fasce sociali – e di età – sono più a rischio? Quali sono le iniziative messe in campo dalle donne vittime di violenza per aiutare altre donne? Come protegge la legge i figli delle vittime di femminicidio?

Per amor di brevità, ho portato alla luce solo due problemi ma ovviamente avrei potuto allargare ulteriormente il tiro. Punti in comune di entrambe le problematiche: in ambo i casi non si tratta di realtà a tutto tondo ma di temi in cui aspetti positivi convivono con elementi negativi. Lungi dall’indorare la pillola, come donna credo che il punto sia guardare a entrambi gli aspetti con lucidità prendendo atto di ciò che è già cambiato in meglio e cercando di trasformare ciò che ancora non funziona.

Ultimo aspetto, che forse “mi preme” ancora di più: perché il cambiamento sia realmente possibile, sarà utile che anche noi donne accettiamo di rimuovere qualche spartiacque di troppo includendo il più possibile gli uomini in un processo di crescita che non riguarda solo noi, ma anche loro. Evitando quindi di esasperare una visione che li veda solo come potenziali carnefici o come biechi esponenti di un regime patriarcale: puntando il dito là dove è giusto farlo ma evitando di vedere nemici che a volte non ci sono. Ed evitando anche di disperdere energie su battaglie che dal mio punto di vista, lasciano davvero il tempo che trovano rispetto ai problemi reali che dobbiamo affrontare. Si cambia insieme. Si cresce insieme: prenderne davvero atto sarà una vittoria per tutti sul fronte del gender gap.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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