Nel report del Ministero degli Interni che analizza gli omicidi in Italia, si specifica che “non viene effettuata un’analisi dei ‘femminicidi’ in quanto tale definizione, pur facendo riferimento a una categoria criminologica nota, non trova corrispondenza in una fattispecie codificata nel nostro ordinamento giuridico.”

Pur ovviando questa dicitura, da qualche anno, si utilizza il metodo illustrato dalla tabella: partendo dagli omicidi totali si specificano dei sottogruppi relativi alla morte in ambito famigliare ed affettivo e quelle per mano di partner o ex partner. Per ognuno di questo gruppo si differenzia poi in base al genere della vittima.

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Tabella estrapolata dal Report del Ministero degli Interni: 8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA. DONNE VITTIME DI VIOLENZA

Tabella estrapolata dal Report del Ministero degli Interni: 8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA. DONNE VITTIME DI VIOLENZA

In questo articolo cerchiamo di chiederci che cosa ci sia dietro o che cosa non emerga da questa matematica dei femminicidi.

Il perché di questa matematica dei femminicidi

L’avvocata penalista e vice presidente di Di.Re, la rete nazionale dei centri antiviolenza, Elena Biaggioni ci aiuta a sviscerare questo argomento, partendo da un punto fondamentale: “Come indicato dal Ministero stesso, in Italia, a livello giuridico la fattispecie è sempre quella dell’omicidio che trova poi delle aggravanti nella relazione tra l’autore e la vittima. Il Ministero, quindi, segue l’ordinamento giuridico, senza contare la dimensione culturale.

Secondo l’esperta, inoltre, è molto difficile (e non per forza risolutivo) che in Italia si possa introdurre il femminicidio come fattispecie di reato, anche perché in generale “quasi nessuna legge ha una connotazione di genere nel nostro ordinamento, che infatti prevede norme generali e astratte.

Alla domanda riguardo a ciò che fatica a emergere da questo conteggio, Biaggioni ci risponde che “il caso più “classico” è quello della prostituta.” In questa circostanza, infatti, pur non svolgendosi in ambito famigliare e all’interno di un rapporto affettivo, l’uccisione della donna è frequentemente connotabile come femminicidio. Molto spesso, in questo contesto, la vittima viene punita per aver trasgredito dal ruolo ideale di donna casta e pura imposto dalla cultura egemonica oppure perché, rifiutando il dominio maschile, non ha acconsentito al volere imposto.

Chi conta oltre al Ministero?

Non è un caso che l’azione di contare i femminicidi è portata avanti da tantissimi anni da associazioni e collettivi. In Italia il più longevo è quello delle Case delle Donne per non subire violenza di Bologna che lo effettua dal 2013, da molto prima delle istituzioni.  E lo fa, partendo dai casi di cronaca mettendo in risalto i nomi, i cognomi e le storie che si celano dietro ai numeri. Come ci ricorda l’avvocata, infatti, il problema più grande che ancora abbiamo è che “quando una donna viene ammazzata, la sua voce sparisce, la sua parola sparisce ed è rarissimo che emerga la sua versione, il suo punto di vista.”

L’osservazione più interessante quando si mettono a confronto i dati del Ministero con quelli della Casa delle Donne di Bologna è che quest’ultima presenta costantemente numeri più elevati. Un segno che qualcosa sfugge.

In un’intervista sul Sole24Ore, Giusy Muratore – sociologa e ricercatrice ISTAT – spiega che servirebbe un vero proprio “consolidamento dei dati” anche in relazione a ciò che emerge dall’analisi delle sentenze: informazioni sulla vittima, violenza pregressa subita e la relazione tra vittima e aggressore. Analisi che negli anni, la Commissione Femminicidi ha presentato ma che non è mai stata davvero sistematizzata.

Questo problema sui dati, ci spiega Biaggioni, è stato rilevato anche a livello europeo, dove l’EIGE (l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere), in una delle sue ultime pubblicazioni, ha dimostrato che non esiste nell’Unione Europea, “un dato comparabile su cosa e quali indicazioni rientrano nella definizione di femminicidi.”

Tutto ciò è segno, sicuramente, che a livello istituzionale ancora molto lavoro va fatto, sia in Italia che in Europa. Per comprendere a pieno questo fenomeno e contarlo tenendo conto tutti i fattori che lo determinano e lo precedono.

Uno sguardo sui progressi faticosamente raggiunti

L’avvocata è assolutamente d’accordo sulla lunga strada che ancora ci troviamo davanti e crede fortemente che parte della soluzione sia nel parlarne: “Bisogna parlarne sempre, in ogni occasione possibile, per dare una prospettiva ampia alla questione del femminicidio, sia in chiave di prevenzione che in chiave di rappresentazione della realtà.”

Nonostante questo però, l’esperta ci esorta a capire che il percorso fatto fino a qua è da tenere sempre in considerazione: “Fino a pochi anni fa era impensabile che il Ministero specificasse che non parla di femminicidio, ma di fattispecie di reato e facesse una distinzione tra il femminicidio come categoria criminologica e i dati che può raccogliere. È comunque una cosa enorme!”

Per capire bene da dove siamo partiti, basta ripescare un vecchio articolo di Barbara Spinelli (autrice di un importante libro sul femminicidio uscito nel 2008, prima che il tema fosse “popolare”) che ci ricorda che nel 2011, ad esempio, “Il Comitato della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) ha fatto richiesta all’Italia di fornire i dati sul femminicidio e il Governo italiano non è stato in grado di fornire tempestivamente questa risposta, semplicemente perché quei dati non erano mai stati raccolti.”

In conclusione, quindi, al netto di tutti i miglioramenti che è necessario chiedere a gran voce e la giusta pretesa nei confronti delle istituzioni rispetto alla comprensione e il contrasto al femminicidio – che non è ancora sufficiente – ci dice l’avvocata: “bisogna riconoscere i progressi raggiunti per non fare mai un passo indietro!”.

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Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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