L’acronimo PLC sta per “product life cycle” ed indica il ciclo di vita di un prodotto durante le diverse fasi che attraversa. Inizialmente coniato per ragioni afferenti il marketing, da anni è utilizzato anche per indagare le tracce carboniche che rilascia un prodotto, la cosiddetta carbon footprint (impronta carbonica).

In questo articolo proveremo a comprendere qual è il ciclo di vita e le “impronte” rilasciate nell’ambiente dai devices elettronici, prendendo come esempio un telefono cellulare, e tenteremo anche di mettere in luce le possibili soluzioni.

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Il ciclo di vita di un cellulare fase per fase

Produrre un telefonino o smartphone richiede l’assemblaggio di moltissime componenti. Mediamente ogni dispositivo cellulare si compone di circa 70 elementi chimici. Tra i più importanti troviamo quelli provenienti da terre rare e altri da metalli preziosi, come il rame, l’argento e l’oro.

La prima fase del ciclo di vita di un cellulare culmina con la sua messa in produzione. Per giungere a tale stadio, tuttavia, devono prima essere estratte le materie prime necessarie alla sua composizione. In un secondo momento, queste dovranno essere trasportate e stoccate per poi essere assemblate. Soltanto dopo questo stadio il device potrà essere collaudato e dunque prodotto.

La seconda fase del ciclo di vita attiene invece la sua commercializzazione. Una volta prodotto, infatti, il cellulare è pronto per essere commercializzato. Non prima, però, di essere stato attentamente testato e di aver studiato una efficace strategia comunicativa di lancio del prodotto.

La terza ed ultima fase del ciclo di vita di un device cellulare riguarda infine la sua dismissione. Qui si presentano diverse alternative: il cellulare può essere sottoposto a riparazione o a rigenerazione, oppure essere riciclato o smaltito.

Occorre precisare che la rigenerazione di un cellulare consiste nella risoluzione completa o quasi di problemi di ordine estetico e tecnico connessi alla sua saturazione. Per riciclo si intende invece la conversione di un rifiuto in un nuovo oggetto del medesimo valore. Esso consiste nel recuperare del materiale di scarto per renderlo riutilizzabile.

Ciclo di vita di un Iphone 11

Esempio del ciclo di vita di un Iphone 11, gestito dall’Amministrazione federale svizzera

Riciclo: a che punto siamo?

Secondo il WWF ogni anno vengono prodotti circa 1,5 miliardi di telefonini. Tuttavia, soltanto il 15% di essi viene riciclato, nonostante sia riutilizzabile il 96% dei materiali. Basti pensare che solamente in Italia gli smartphone che giacciono inutilizzati nei cassetti ammontano a circa 120 milioni.

Dati che fanno una certa impressione, soprattutto se si tiene conto del fatto che a fronte dei soli 75 grammi di peso di un cellulare, occorrono quasi 30 kg di rocce per estrarre il materiale necessario alla sua produzione.

Sempre secondo l’organizzazione non governativa, per produrre 1,5 miliardi di cellulari occorrono 45 milioni di tonnellate di rocce. Risorse attinte in massima parte dall’Africa e dalla Cina, dove le leggi a tutela dei lavoratori e dell’ambiente sono praticamente inesistenti o quasi, innescando dunque effetti a cascata negativi a più livelli.

Inevitabili, dunque, le critiche pervenute da pezzi di società civile e finalizzate a denunciare lo sfruttamento sociale ed ambientale generato da un sistema simile. Per limitare tutto questo e incentivare ad un “consumo etico” sono nate iniziative interessanti, come l’azienda olandese Fairphone.

Ciclo di vita e impronta carbonica: aspetti su cui inizia a esserci una maggiore attenzione

Nata come impresa sociale nel 2011, Fairphone si è resa indipendente un paio d’anni dopo. Essa ha come fine quello di produrre smartphones “etici”, facendo particolare attenzione sia al momento a tutto il ciclo di vita del cellulare: dalla produzione al riciclo. L’azienda è stata tra le protagoniste della Settimana verde dell’Ue, lo scorso giugno.

Euronews ha intervistato per l’occasione l’amministratrice delegata Monique Lempers, che ha fornito un quadro generale al fine di provare a capire a che punto siamo con le soluzioni green. In particolare, per ciò che concerne le fasi di produzione e riciclo.

Il 75% circa delle emissioni di CO2 di un cellulare viene rilasciato nel momento della produzione, spiega Lempers. Se a questo dato aggiungiamo l’altro, che attesta che il tempo medio di utilizzo di un telefonino si aggira attorno ai 2-3 anni, si comprenderà bene come l’impronta carbonica rilasciata abbia “un impatto immenso”.

Per colmare questo gap, la Fairphone rende facilmente riparabili le componenti degli smartphone che produce, al fine di prolungare la loro durata media. Non prima, però, di essersi assicurata della provenienza “etica” dei materiali dai cui sono composti.

“L’azienda – riporta l’articolo – ha identificato 14 ‘materiali chiave’ che cerca di ottenere in forma riciclata o di procurarsi da miniere eque” (Euronews, 05.06.2023). Nella medesima direzione sembra si stiano muovendo anche altre aziende, dando vita al cosiddetto mondo della “green-tech” (tecnologia verde/ecosostenibile).

Dalle cover biodegradabili (prodotti dall’americana Pela), ai cavi composti da plastica e nylon riciclati (prodotti dalla svedese A good company); dagli auricolari in legno sostenibile (prodotti dalla american Symphonized) ai caricatori ad energia solare. Sono il segno di una percezione che inizia ad attecchire, forse tardivamente, ma che lascia spazio per immaginare un futuro diverso.

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Diego B. Panetta

Diego B. Panetta

Giurista con specializzazioni in campo notarile, societario e canonistico. Accanto alle norme, una grande passione per la retta filosofia, senza la quale codici e leggi possono ben poco. Autore di tre libri, collabora inoltre con riviste specializzate e testate online, tra cui BuoneNotizie.it.

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