Tartufo italiano Patrimonio Unesco: con la “Cerca e Cavatura del tartufo” è arrivato il 15° riconoscimento Unesco per l’Italia. L’auspicio è che ciò possa avviare uno sviluppo durevole e sostenibile nei tanti territori italiani che ne sono a vario titolo coinvolti.

L’Italia, forse non tutti lo sanno, ha un primato culturale che fino adesso non può essere contestato: l’avere il maggior numero di Siti e Beni Patrimonio dell’umanità UNESCO: ben 58.

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L’ultimo riconoscimento, arrivato lo scorso 16 dicembre, rappresenta una delle nostre eccellenze in fatto di cultura gastronomica, sua maestà il tartufo e le sue pratiche millenarie collegate alla sua ricerca e raccolta.

Il tartufo è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Ma non è solo questo: infatti l’ingresso del tartufo tra i Patrimoni dell’Umanità Immateriali Unesco tutela una cultura storica del territorio segnata da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti umani e culturali.

Tartufo italiano Patrimonio Unesco: un’arte e una tradizione antica dietro il riconoscimento dell’Unesco

La “Cerca e cavatura del Tartufo in Italia” rappresenta un patrimonio culturale immateriale di conoscenze e pratiche tramandate oralmente per secoli che caratterizzano la vita dei tartufai nei territori dove si trova il prezioso tubero. Questa arte millenaria coinvolge inoltre in Italia una rete nazionale composta da circa 150mila cercatori, cavatori e appassionati, insieme al più fedele amico dell’uomo. Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori locali italiani situati in ben 14 regioni italiane, che coinvolge in prima battuta la coppia cavatore-cane in un rapporto armonico tra il cavatore e la natura.

Un iter che si è costruito su basi solide

Il percorso di patrimonializzazione e l’iter istruttorio di candidatura sono stati seguiti e coordinati dal Servizio II-Ufficio UNESCO del Segretariato Generale del Ministero della Cultura con la partecipazione attiva della comunità di detentori e praticanti, rappresentati dall’Associazione Nazionale Città del Tartufo e dalla Federazione Nazionale dei Tartufai. Si tratta inoltre della prima candidatura nazionale del patrimonio immateriale che rappresenta il tema della biodiversità culturale come fattore chiave per l’identificazione di un elemento che, ai tratti storici ed antropologici millenari, unisce la dimensione della trasmissione intergenerazionale non-formale e l’interdipendenza tra uomo e natura nei diversi habitat naturali e territori toccati da questa fortuna.

Tartufo italiano Patrimonio Unesco: un’occasione irripetibile

Il riconoscimento Unesco rappresenta ovviamente anche una risorsa economica ed occupazionale per le aree rurali italiane svantaggiate: a parte le zone conosciute in tutto il mondo come Alba e le sue Langhe, sono molti i territori, tutti in zone collinari e di bassa montagna, che necessitano di uno sviluppo collegato ad un turismo di qualità. E ciò potrebbe collegarsi con l’iscrizione a Patrimonio Immateriale Unesco dell’arte della ricerca del tartufo.

In Italia quest’arte millenaria coinvolge una rete nazionale composta da circa 73.600 tartufai, moltissimi liberi cercatori, alcuni associati nella FNATI e altri distribuiti in altre 12 associazioni minori (di cui l’associazione Nazionale Città del Tartufo, l’ANCT e l’associazione nazionale tartufai italiani, l’ANTI, sono le più importanti).

I territori in cui si pratica l’arte della ricerca del tartufo raggruppano la maggioranza delle regioni italiane: al nord Piemonte, Lombardia e Liguria, al centro Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio ed al sud Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Dalle pendici prealpine sino alle isole.

La stessa pratica della cerca e cavatura, arte che ha innestato il riconoscimento Unesco, può nondimeno diventare un pungolo per la preservazione e lo sviluppo di questa pratica millenaria, soprattutto verso le generazioni più giovani, di modo che possano in un futuro tenerla in vita nei territori interessati.

Anche se la mission di ogni riconoscimento nella Lista Beni Unesco (UNESCO World Heritage Convention) è prioritariamente quello di preservare e gestire il suddetto patrimonio per cittadini consapevoli e per le generazioni future.

L’aspettativa è che, come per vari altri Beni Unesco italiani e non, l’iscrizione delle “pratiche culturali collegate al tartufo” nella WHL Unesco possa innestare una moltitudine di buone pratiche che fermino, specie nel Centro Sud, l’esodo (di gran parte della popolazione più istruita) verso i grandi centri urbani, a discapito dell’Appennino e delle zone collinari interessate alla ricerca e diffusione del tartufo.

L’auspicio insomma è quello che il prestigioso “marchio” Unesco possa, oltre a preservare una tradizione italiana culturale straordinaria, innestare anche un processo di sviluppo locale significativo, presupposti che possano dare vita e sostenere un’industria gastronomica e turistica sostenibile in tutti i territori interessati dal prestigioso riconoscimento, dal Piemonte alla Sicilia.

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Gianluca Puppo

Gianluca Puppo

Gianluca Puppo. Docente, ricercatore, redattore ed editor di testi. Laurea in Filosofia, con Master univ. in Management Siti Unesco, in Comunicazione istituzionale, in Formazione risorse Umane.

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