Il caffè è la sostanza psicoattiva più usata al mondo. Si stima che vengano versate circa 12.000 tazzine ogni secondo. Ma la caffeina è anche l’ingrediente segreto celato dietro alla rivoluzione industriale e la colonna portante della civiltà occidentale. Di seguito un excursus storico-sociale sulla caffeina e la sua connessione con il progresso economico-sociale.

Il binomio tra caffeina e produttività

Al giorno d’oggi i dati parlano chiaro: gran parte del mondo consuma caffè. Da un’inchiesta del quotidiano francese Le Monde risulta che le coltivazioni intensive di caffè permettano oggi la sussistenza a ben 125 milioni di persone in oltre 75 paesi tropicali. La caffeina viene però ritenuta controversa da una parte dell’opinione pubblica. Non solo perché in passato la produzione e il commercio del caffè si siano macchiati di sfruttamento – in particolare schiavitù e lavoro forzato, in diverse aree del Sud del mondo; viene anche additata da alcuni come una sorta di droga legalizzata, la benzina del capitalismo. Una sostanza stimolante a sostegno di un sistema fortemente improntato alla performance e alla produttività.

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Dal punto di vista scientifico, infatti, la caffeina modifica la chimica del cervello umano. Bloccando i recettori per l’adenosina (che altrimenti comunicherebbero al corpo sensazioni di stanchezza), i livelli degli stimolanti naturali dopamina e noradrenalina rimangono elevati. Rendendo così i consumatori di caffeina più performanti e reattivi. Non è un caso che si parli di vera e propria dipendenza da caffè: in alcune culture, come quella italiana, il caffè è un rituale; in altre, come quella statunitense, questo consumo viene portato all’estremo. Il 62% degli americani dichiara di non riuscire letteralmente a “funzionare” nella quotidianità senza aver assunto la consueta dose.

La bevanda della borghesia illuminista

Ma, storicamente, quando è stato assegnato al caffè questo indiscutibile e primeggiante ruolo all’interno della nostra società? Il primo locale adibito al consumo aprì in Europa nel 1629, precisamente a Venezia. Seguì Oxford nel 1650 e nel giro di pochi anni le coffee houses si diffusero a macchia d’olio in tutto il Regno Unito: a Londra, dopo solo qualche decennio, si contava una caffetteria ogni 200 persone. Fino al XVII secolo, però, in Inghilterra la bevanda più gettonata era stata la birra. Il consumo era così pervasivo che lo storico Wolfgang Schivelbusch racconta che veniva servita anche sotto forma di zuppa a colazione. La moda stava per cambiare e il segno lo passò l’Illuminismo tra 1600 e 1700.

La società umana d’Occidente infatti stava evolvendo e serviva qualcosa che supportasse i nuovi complessi ragionamenti mentali e creativi del tempo. L’alcol non andava bene perché, anzi, tende a rallentare i processi cognitivi. Deprimendo la corteccia cerebrale che regola la memoria, l’attenzione, la comunicazione e la consapevolezza, i pensieri rallentano e si fanno “fumosi”. I pensatori rivoluzionari (e borghesi) del tempo trovarono l’effetto desiderato nella caffeina. Con l’inizio delle colture intensive tropicali il caffè veniva spedito in dosi sempre più massicce in Europa, diventando presto la nuova bevanda preferita dalla borghesia moderna. In un certo senso, si può dire che il caffè coadiuvò le rivoluzioni illuministe.

Una storia centenaria, oltre la rivoluzione industriale

Prima dell’avvento della rivoluzione industriale, per tracciare l’inizio della presenza del caffè nelle vite degli esseri umani bisogna tornare indietro. Probabilmente risalendo al Medioevo del XV secolo. L’albero della pianta di caffè Coffea risulta originario dell’area Sudovest dell’Etiopia: la leggenda narra che per primo un pastore della zona notò l’effetto rinvigorente di questa pianta sul gregge di capre. La coltivazione si diffuse poi velocemente nella penisola arabica, beneficiando probabilmente del divieto dell’Islam nei confronti delle bevande alcoliche. Dagli esordi, quindi, il caffè continua a opporsi in antitesi all’alcol.

La prova più antica dell’esistenza di una caffetteria risale al XV secolo, in un monastero dello Yemen. Solo un secolo dopo l’uso di bere caffè si era già diffuso in tutto il Medio Oriente, Nord Africa, Persia, India Meridionale. Con l’impero ottomano arrivò ai Balcani, in Europa e infine nel continente americano. Essendo un prodotto importato da una zona molto specifica del mondo, continuò a essere classificato come raro e costoso almeno fino agli esordi del 1700. Poi si diffusero le colture nelle colonie e in particolare in Sud America, che continua tuttora a essere leader nella produzione globale – affiancato da produzioni minori ma in crescita, come quella africana.

Nel XXI secolo il caffè risulta essere il prodotto maggiormente commercializzato a livello mondiale, preceduto solamente dal petrolio. Come ricorda il report della FAO, la produzione mondiale di caffè è salita da 100.000 tonnellate nel 1825 a 8,9 milioni nel 2013, moltiplicandosi complessivamente più di 89 volte in circa 200 anni. Considerato da molti come l’oro marrone, rappresenta un’opportunità per molti Paesi in via di sviluppo per generare reddito e crescita economica. Un potenziale moltiplicatore, quindi, in diverse aree ancora economicamente depresse nel mondo, ma che necessita di essere prodotto e commercializzato in modo sostenibile.

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Virginia Allegra Donnini

Virginia Allegra Donnini

Con un background di studi ed esperienze lavorative a cavallo tra economia, marketing e moda scrivo di tendenze, pop culture, lifestyle. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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