Le fotocamere manuali della vecchia scuola stanno tornando alla ribalta tra i giovani. Si sperimenta la differenza tra scattare fotografie o creare immagini attraverso l’Intelligenza Artificiale, IA. “Dietro ogni mio scatto c’è un racconto. Ogni foto è un documento storico. Questa è la differenza”. Queste le parole di Mario Marchesini, medico odontoiatra e fotografo, italo olandese originario di Budrio, in provincia di Bologna. Qui ha condiviso l’arte della fotografia con l’amico Franco Zagari, noto fotoreporter degli anni ’70, come lui appassionato di motorismo. Dalla formula 1 alle Torri Gemelle, la fototeca di Mario sfida l’IA con storiche immagini in bianco e nero.

La fototeca di Mario che sfida l’IA

In ottobre, l’AI Art Award 2023 ha premiato la prima opera fotografica realizzata interamente dall’intelligenza artificiale-IA. La macchina fotografica ha scattato foto inesistenti con un sensore che osserva il soggetto e lo tramuta in istruzioni per l’AI, che ne crea una copia digitale e la stampa. Per la prima volta una foto mai scatta ma frutto di algoritmi, è accreditata come foto artistica. “Sinceramente non lo capisco” commenta Mario Marchesini, classe 1955.

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Ogni foto ha un vissuto umano, un racconto. Per raccontare uso solo la Hasselblad 500CM con obiettivo tedesco Zeiss: la fotocamera usata sulla luna nel 1969. Quando i ragazzi lo sanno e si parla di analogico, poi si appassionano.

La fotografia analogica cattura le immagini su pellicola fisica, ottenendo una rappresentazione tangibile della realtà. La pellicola poi viene sviluppata in camera oscura, dove l’esposizione alla luce e sviluppo produce un artefatto fisico che trasmette un senso di autenticità e unicità. Se le immagini digitali sono facilmente manipolabili, le fotografie analogiche hanno un livello di veridicità maggiore, rendendole inestimabili come documenti storici.

Niki Lauda - photo di Mario Marchesini

Niki Lauda, Zandvoord 1974 – photo di Mario Marchesini

Il significato duraturo della fotografia analogica

La fotografia analogica possiede una profondità emotiva intrinseca che le immagini generate dall’IA faticano a replicare. In queste immagini le imperfezioni, come la grana della pellicola, le infiltrazioni di luce e le variazioni di colore sono un valore aggiunto. Il tocco umano evoca sentimenti ed emozioni che stabiliscono una profonda connessione tra lo spettatore e il soggetto ritratto. La scelta del bianco e nero, dona una nota nostalgia che risuona con gli spettatori. Come accade nelle foto di Mario Marchesini.

Dalla Formula 1 alle Torri Gemelle, nella fototeca di Mario, ogni foto è una storia unica. C’è la gigantografia di Ayrton Senna nella sua ultima gara, Imola 1994, poco prima dell’impatto mortale e di Niki Lauda al Gran Premio di Formula 1 a Zandvood nel 1974. “Comunque non esiste solo la Formula 1 da fotografare!”. Nella fototeca, infatti, tra gli scatti non ripetibili ci sono il ponte Morandi, crollato nel 2018, e le Grandi Navi Crociera nel canale della Giudecca di Venezia, dove oggi hanno divieto di transito.

“C’è anche la foto alle Torri Gemelle a New York, pensate scattata il 29 dicembre 1999, vista dall’Empire State Building. Il primo piano è però al Ferro da stiro“. Racconta Marchesini, ricordando il Fuller Building, meglio noto come Flatiron Building (“ferro da stiro”), il grattacielo di 86,9 metri di altezza che, al suo completamento nel 1902, era uno dei più alti edifici di New York. “Perché fotografare è viaggiare e raccontare“.

Navi crociera Venezia - photo credit Mario Marchesini

Navi crociera Venezia – photo credit Mario Marchesini

Qual è stata la prima foto di Formula 1, poi esposta in fototeca?

“Nel 1970 in Olanda. La Verità? La mia prima volta in Formula 1 alle 6.30 ero già in pista. Saltata la rete di recinzione con filo spinato, dal lato “posteriore” del Paddock., mi sono nascosto aspettando l’arrivo delle monoposto. Ho fotografato anche l’auto del Campione mondiale postumo Jochen Rindt, entrata nel paddock a motore acceso guidata da un meccanico. Postumo perché il titolo gli fu assegnato post mortem. Venni scoperto e la mia festa fini lì per l’anno 1970. Però le foto le avevo già. Avevo 15 anni. Nel 1972 andai al Gran Premio del Belgio e per entrare mi confusi tra le ragazze Malboro. Alla partenza ero dietro un guardraill a scattare foto. Negli anni successivi mi inventai una agenzia e mi feci accreditare”.

E come ci è riuscito?

“Nel 1972 mi ero inventato la mia Agenzia personale. Feci stampare della carta intestata e delle tessere PRESS, all’inizio solo per la Formula 1. Tutto fasullo. Scrivevo ai vari organizzatori dei vari circuiti e abboccarono fino al 1974. Mi inviarono addirittura il lasciapassare per parcheggio auto. Nel 1975 mi trasferì in Italia. Fu anche la avventura dell’Agenzia. Ma iniziai a frequentare Franco Zagari al quale avevo mostrato le foto delle varie gare. Fu l’unico a non deridermi anzi, mi accreditò poi come suo fotografo. Franco era molto severo nel giudicare: pretendeva che su 36 foto ne potevo sbagliare al massimo una. Nel suo libro “Monza gran Premio d’Italia” ci sono anche mie foto. Ai ragazzi dico di  sviluppare un rullino della loro vita. Diranno di aver vissuto veramente”. 

 photo credit Mario Marchesini

Photo credit Mario Marchesini

 

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Anna Restivo

Anna Restivo

Editor e creator freelance nel motorismo sportivo e storico.  Ho collaborazioni in F1 dal 2014, passando anche dalla Motogp, e dal 2019 in manifestazioni di auto e moto d'epoca. Mi piace raccontare il motorismo e le sue connessioni con società, arte, ambiente, creando format e progetti. Attualmente collaboro con BuoneNotizie.it, grazie al quale ho avuto l'opportunità di conoscere il giornalismo costruttivo.

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