Nel corso della sua storia, la Formula 1 ha fatto passi da gigante sul fronte della sicurezza, traendo insegnamento dai numerosi incidenti, spesso mortali, che hanno segnato questo sport. Oggi i rischi per la sicurezza sono comunque elevati, ma la sua gestione ha raggiunto standard senza eguali, limitando la probabilità che gli incidenti possano impattare sull’incolumità dei piloti. Come è cambiata la sicurezza dei tracciati nel corso degli anni?

L’evoluzione delle barriere in F1: dai ballard di fieno fino al Tecpro

Le barriere hanno un ruolo fondamentale nei circuiti di Formula 1. Esse infatti consentono di arrestare la corsa delle vetture uscite fuori dalla pista e di salvaguardare la salute del pilota, ammortizzando l’urto.

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Agli inizi della Formula 1 le barriere erano realizzate con balle di fieno, dette ballard: un metodo che si rivelò ben presto pericoloso per la sua scarsa capacità di allentare gli urti e per l’elevata infiammabilità della paglia. Questo tipo di barriere, dunque, furono presto sostituite. Al loro posto vennero introdotte le reti, che subivano una maggiore deformazione. Talvolta però, intrappolavano le vetture, diventando trappole per i piloti: furono sostituite da recinzioni metalliche. Nonostante esse fossero in grado di attutire gli impatti, con il passare degli anni, anche questo metodo si rivelò rischioso, a causa dell’aumento della velocità delle vetture.

Dagli anni ’80 iniziarono a diffondersi nelle piste di F1 diversi sistemi di protezione. Lungo i rettilinei erano distribuiti muri di cemento per attenuare gli urti laterali, mentre lungo le curve venivano disposti guard-rail protetti da file di pneumatici. La soluzione migliore sembrava essere quella dei guard-rail. Quest’ultimi hanno infatti una grande capacità di assorbire gli urti. Tuttavia, anche essi non sono esenti dal rischio, in quanto le loro lamiere, ad alta velocità, possono trasformarsi in vere e proprie lame.

L’ultima tecnologia introdotta nei tracciati di F1 sono le barriere Tecpro: sono composte da più blocchi che formano un’unica struttura in grado di attutire gli urti. Ciascun blocco, a sua volta, è formato da una schiuma a densità variabile intervallata da un doppio strato di lamiere. Nonostante ciò, anche queste barriere hanno un difetto: le vetture potrebbero incastrarsi al di sotto della barriera, rischiando di intrappolare il pilota. Su questo punto ci vengono in aiuto le cosiddette “vie di fuga”, che permettono di rallentare la macchina prima dell’impatto con le barriere.

L’importanza delle vie di fuga nei circuiti

Come già accennato, le vie di fuga in F1 svolgono il ruolo di ridurre il più possibile la velocità della vettura che esce fuori dalla pista. Oggi ne esistono diverse: asfalto, prato, ghiaia e strisce abrasive. La meno efficiente è senza dubbio il prato, in quanto non è in grado di arrestare la vettura e, da bagnato, perde anche il suo coefficiente di attrito dinamico. Al contrario, l’asfalto ha una maggiore aderenza anche al di fuori della pista. La ghiaia, distribuita in uscita di curva, funziona in caso di basse velocità, mentre con alte velocità la vettura “ondeggia” su di essa e, nel peggiore dei casi, si innesca un ribaltamento.

Per quanto concerne le strisce abrasive, ne esistono di vari colori che identificano la loro funzione: quelle blu, ad esempio, hanno una potenza frenante minore rispetto a quelle rosse. I colori sono anche un punto di riferimento per i piloti. I pareri dei piloti sono discordanti, ma è comunque indubbio che dagli inizi della Massima Serie i miglioramenti delle vie di fuga sono tanti e, ancora oggi, sono allo studio della FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) per migliorarne l’efficacia.

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Giulia De Giacinto

Giulia De Giacinto

Giulia De Giacinto. Appassionata di Motorsport, in particolare di Formula 1; mi piace raccontare le sue connessioni con la sostenibilità e storie di grande ispirazione. Attualmente scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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