Coronavirus e felicità. Sembra un ossimoro. E, ammettiamolo, parlare di felicità ai tempi del coronavirus è una vera e propria sfida. A partire da chi vi scrive. Già, perché se è pur vero che prima della diffusione pandemica del virus potevamo a buon diritto dire di essere felici, continuare a parlare di felicità in questo periodo di crisi, bè, lo sappiamo, è difficile. Perciò è una sfida per tutti e alla portata di tutti, che possiamo vincere. Perché non possiamo concedere a un essere così minuscolo come il coronavirus di avere la meglio su di noi, sulla nostra esistenza e sulla nostra stessa felicità. Che è poi il motore della vita.

Ed ecco perché è importante tenere a mente alcune considerazioni, che ci possono essere utili adesso e, anche, nel futuro, quando la pandemia sarà definitivamente un lontano ricordo. E potremo ritornare a vivere davvero, magari più consapevoli di noi stessi, della felicità e dei motivi per essere felici. Facendo magari tesoro anche di questo periodo caratterizzato dal coronavirus. Ecco, allora, alcune considerazioni sulla felicità.

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La gratitudine, la prima lezione della felicità

Sembra quasi che siamo fatti per non essere sincronizzati con la felicità. Prima del coronavirus, infatti, non avevamo tempo per la felicità. Tra un impegno, una scadenza, una foto vana e vanitosa fatta per soddisfare il nostro ego da caricare felici e sfruttati sulle varie piattaforme social, e l’altra, la felicità ci sembrava sempre un qualcosa da continuare a rincorrere, senza mai riuscire ad afferrarla e a stare anche un po’ di tempo con lei. E ora, con tutto questo tempo a nostra disposizione per evitare contatti sociali che potrebbero portare con sé anche il coronavirus, la felicità ci sembra ancora un miraggio. E se si pensa anche alla crisi economica che stiamo vivendo, sembra che sia diventata un’utopia, quasi una leggenda.

Eppure, nonostante tutto, dovremmo essere grati. Già, ma di cosa? Del coronavirus? Ma non scherziamo, su! Comunque, no, certo che no. Anzi, coronavirus a parte, dovremmo essere felici per i progressi realizzati in vari ambiti, che ci hanno permesso (e ci permettono tutt’ora) di avere una vita più lunga; molto più denaro di quanto ne avevano le generazioni che ci hanno preceduto; e molto più tempo libero, che potremmo dedicare o all’ozio creativo (cioè a provare noia che ci porta a creare spontaneamente cose nuove) o a leggere libri, o ancora a vedere i nostri film preferiti o a comunicare con le persone con cui sentiamo di avere affinità elettiva.

Insomma, tutti elementi che soltanto per qualche generazione fa erano solo una vera e propria utopia e nulla più. Ripetiamo, queste considerazioni rimangono valide anche ai tempi del Covid-19, se ci facciamo caso.

Il volo scontato della felicità

Ci sono molte altre cose che diamo (o davamo?) per scontate, tanto da non meravigliarci più della loro esistenza. Eppure, la felicità, in barba al coronavirus, si cela proprio sotto i nostri stessi occhi. O sopra, a seconda di dove ci troviamo. Stiamo parlando del volo con un aereo. Potrebbe apparire un’ovvietà. Ogni volta che ci saliamo su, stiamo su, sospesi nel vuoto, vivendo una sorta di miracolo del volo umano, in cui ci sediamo letteralmente sospesi per aria. E, magari, potremmo approfittare di questo periodo di confinamento, di chiusura forzata che non ci permette di prendere l’aereo per tutelare il più possibile la nostra salute per soffermarci a considerare tutti questi miglioramenti per non continuare a banalizzarli.

Perché, il rischio è questo: più continuiamo a dare per scontate cose (come i nuovi farmaci, le tecnologie all’avanguardia, miglioramento nutrizionale, la stessa possibilità di volare, e così via) che scontate non lo sono e più ci sembra che queste “cose” non migliorino mai. In più, se abbiamo la percezione che non ci sia alcun miglioramento da alcuna parte, allora avremo una marea di dubbi sul progresso economico, medico, sanitario e tecnologico che abbiamo fatto nella modernità. Con l’immediata conseguenza di non provare quella felicità che cerchiamo. Poi, se a questo affianchiamo le complicanze che porta con sé il coronavirus, la frittata di infelicità è presto fatta e servita.

Teniamo bene a mente che affermare che tutto questo progresso ci ha reso più infelici (ma che in realtà ci ha donato una vita più lunga e più in salute, coronavirus a parte, una conoscenza maggiore e molto più tempo libero, un mondo in cui c’è più pace che guerra, più diritti e maggiore democrazia) equivarrebbe a commettere la più grossa ingiustizia nei confronti dell’umanità intera, peccando di cecità, che non ci permette di vedere la felicità, meno che mai ai tempi del coronavirus.

Gli aspetti oggettivi della felicità, nonostante il coronavirus

Fin dall’antichità l’essere umano ha riflettuto su cosa potesse dargli ed essere felicità. Tanto che oggi il tema della felicità è ampiamente studiato nel campo delle scienze sociali. Ed è anche uno dei temi trasversali per eccellenza, per come è stato affrontato negli ambiti più disparati, dal campo letterario della poesia a quello più pragmatico dell’economia. Tutto questo ci fa capire come il benessere e, perciò, la felicità non siano relegati ad un numero ristretto di ambiti. Ma ad un insieme ben più ampio. A partire dalla vita e, a seguire, la salute, la libertà e il tempo libero.

Perciò, tutti coloro che hanno una vita non solo lunga ma anche sana stanno obiettivamente meglio di chi non è così fortunato come loro, indipendentemente dal fatto che siano tristi o felici, perché stiamo parlando di dati di fatto – al di là delle interpretazioni che se ne possono fare. A conferma di ciò, questi elementi sono i presupposti da cui si può parlare di felicità: è difficile, infatti, argomentare di felicità quando si è ammalati!

La felicità è anche strettamente legata alla libertà. Per di più adesso, in questo periodo di costrizione, ci stiamo rendendo conto di quanto essa sia importante: essere e sentirsi liberi, avere la possibilità e, appunto, la libertà di poter fare delle scelte, senza coercizioni. E potremo imparare questa lezione per il futuro. E apprezzare di più la vita, nonostante tutto.

Ma, allora, perché proviamo meno felicità di quella che vorremmo?

È una domanda che ci viene spontanea, soprattutto analizzando questi dati di fatto. Un’immediata risposta potrebbe essere che siamo infelici per via dell’infelicità che porta con sé il coronavirus. E purtroppo da una parte è così. Dall’altra c’è da sottolineare che non ci sentivamo pienamente felici nemmeno prima della pandemia. Già, ma perché? Perché questo è il prezzo che paghiamo per il fatto di essere diventati più liberi, prima di tutto.

Più liberi vuol dire più felici?

Oggi viviamo in un’epoca in cui la libertà personale è diventata qualcosa che prima era soltanto immaginabile. E quell’ansia che proviamo è anche dovuta all’incertezza che ci dà la libertà. E, anche, alle riflessioni critiche per le scelte che ora siamo liberi di fare, grazie proprio a questa libertà che, nel tempo, siamo riusciti a conquistare. Perciò, se da una parte è vero che siamo più infelici, è anche vero che siamo più liberi. Inoltre, abbiamo una notevole conoscenza in più rispetto a prima. Perciò con essa tendiamo a farci molti problemi in più, con l’ansia che ne deriva. Ma avere un po’ d’ansia e di preoccupazione (senza esagerare) non è affatto un male. Per il semplice fatto che se stiamo in ansia siamo spinti a fare qualcosa e ad attivarci in modo da ritornare a sentirci meglio.

In più, è addirittura costruttiva perché quest’esigenza di fare (per mettere a tacere l’ansia) potrebbe essere incanalata per affrontare e superare le sfide che abbiamo davanti, come i cambiamenti climatici e il coronavirus, sostenendo tutte quelle politiche che agiscono anch’esse in questo senso. Una delle competizioni che ci spinge ad affrontare la nostra epoca è proprio quella di affrontarle, senza però lasciarci travolgere dalle preoccupazioni. Al momento, stiamo cercando di fare questo con i migliori strumenti che abbiamo a disposizione, come la terapia cognitivo-comportamentale, la meditazione, l’arte e così via.

Un po’ meno felicità ma più “adultità”

Ci sentiamo meno felici di quello che vorremmo anche perché siamo diventati adulti. Ma non a livello anagrafico. Più precisamente, nel senso della consapevolezza. E ciò perché essendo più consapevoli di un numero maggiore di problematiche (siano esse riguardanti la salute, l’ambiente, l’istruzione, la politica e così via) abbiamo da affrontare molte più sfide rispetto al passato, che era un periodo in cui la conoscenza non era né molta né diffusa.

“Il numero di informazioni presenti nel New York Times è superiore a quelle acquisite da una persona
del 18° secolo in tutta la sua vita”

Ed è questa la conseguenza di una vita ricca di significato, che ci espone a un numero di preoccupazioni e, dunque, di stress maggiore rispetto a una vita priva di preoccupazioni.

Non dobbiamo dimenticare che l’ansia stessa, che ci provoca infelicità, è prerogativa dell’età adulta. Inoltre, l’ansia aumenta con l’aumentare delle consapevolezze che sono legate alla responsabilità. Insomma, se si è consapevoli si è anche responsabili, ma anche un po’ meno felici. Perché abbiamo finalmente acquisito un punto di vista adulto sull’esistenza in grado di non vedere solo ciò che ci può agitare, come il coronavirus, ma anche altro, come la felicità delle piccole cose, che abbiamo dato e, a volte, continuiamo a dare per scontate. Quanto potrebbero meravigliarci e lasciarci senza parole, se solo concedessimo la dignità che meritano!

Felicità mediata (e non c’entra il coronavirus)

Ultime considerazioni che potremmo fare riguardano proprio noi comunicatori. Potremmo infatti cogliere questa situazione svantaggiosa della pandemia e trasformarla in un vantaggio. Comuncando più correttamente le notizie senza esagerare nei toni drammatici e nell’enfasi del brutto. In modo da non aumentare l’ansia oltre il livello funzionale che ci spinge a fare qualcosa di costruttivo.

Una ricerca Eurodap colloca infatti i mass media al primo posto tra le principali cause d’ansia. Comunicando notizie allarmanti, spacciandole per vere solo per avere più clic (leggasi, più introiti pubblicitari) a scapito del contenuto, senza (quasi) mai correggere il tiro e fare un sano “mea culpa: abbiamo esagerato con i toni”. Un mea culpa che potrebbe, invece, ottenere molti più clic rispetto a quelli che si ottengono continuando con questo approccio di vero e proprio procurato allarme (che, lo ricordiamo, è un reato). Ne va della nostra informazione, democrazia, capacità di scelta e discernimento. Ne va anche della nostra salute che, ai tempi del Covid-19, non è cosa da poco.

Le due ultime lezioni di felicità

Infine, dovremmo ricordarci di due cose. La prima è che non tutti i problemi che affrontiamo sono una pandemia e tra i tanti eventi che accadono nel mondo ci sono anche persone che superano i problemi affrontandoli.

La seconda è che la salute è un diritto fondamentale sancito dalla nostra costituzione. E se non siamo in salute, non possiamo essere nulla, meno che mai felici. Perciò, perché non trasformare questo periodo di crisi in un’occasione per cambiare verso una felicità possibile, verso la nostra felicità, soprattutto ora, fatta delle piccole grandi cose della vita?

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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