La scoperta dell’epatite C e la sua cura che migliora la vita di milioni di persone.

La ricerca del virus dell’epatite C ha permesso, successivamente, di arrivare alla sua cura. Tutto questo, però, non sarebbe stato possibile senza la preventiva scoperta del virus da parte degli scienziati Harvey J. Alter, Michael Houghton e Charles M. Rice che ha dato, in seguito, il via alle ricerche per poterlo sconfiggere. Il loro lavoro ha permesso, infatti, di comprendere la modalità di trasmissione della malattia attraverso il sangue che provocava, nei casi più gravi, cancro al fegato e cirrosi. Dicevamo provocava, un verbo al passato, perché ora anche questa malattia sta per essere debellata. Del resto, ciò è accaduto per tante altre sfide vincenti della scienza. Il tutto ha dato il via alla ricerca di cure con nuovi farmaci per salvare milioni di vite. L’epatite, però, ha una lunga storia alle sue spalle, a partire dall’antica Grecia.

Epatite A, B e C: un problema del passato

Prima di analizzare la portata storica della scoperta del virus e della cura per l’epatite C, cerchiamo di capire quale sia il significato di epatite. Questo termine deriva dall’unione dal greco ἧπαρ -ατος (fegato) con il suffisso -ite (infiammazione): è un processo infiammatorio a carico del fegato. Questa patologia è stata scoperta per la prima volta dal medico greco Ippocrate nel 400 a.C. . Da quel momento la medicina ha fatto passi da gigante, fino ad arrivare al 1947. A partire da quell’anno si sono scoperte l’epatite A, B e C.

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Le scoperte dell’epatite A e B

In seguito alla loro classificazione avvenuta nel 1947, molti sono i passi in avanti che sono stati compiuti e che hanno portato, poi, alla realizzazione della cura, in particolare per l’epatite C. Il tutto, però, a partire dalla scoperta dell’epatite A, a opera dei ricercatori Findlay e MacCallum nel 1942. Grazie alla scoperta di questo virus e al progresso tecnologico è stato possibile realizzare un vaccino efficace, entrato per la prima volta in commercio nel 1996. Ciò lo si deve agli scienziati Stephen Feinstone e Robert H. Purcell.

In particolare, è stata preminente la scoperta dell’epatite B da parte di Baruch S. Blumberg che ha reso possibile la realizzazione del relativo vaccino, disponibile per tutti dal 1982. Con questa scoperta, Blumberg ha ricevuto nel 1976 il prestigioso premio Nobel per la Fisiologia o Medicina.

In seguito, si è arrivati alla scoperta dell’epatite C che, come si vedrà, permetterà di salvare più di 15 milioni di persone.

Il virus non A né B: la scoperta di Alter

Insieme a Blumberg c’era un giovane medico che collaborava con lui. Il suo nome è Harvey J. Alter. I suoi studi si sono concentrati sull’epatite da trasfusione.

Egli aveva scoperto un qualcosa di strano. Se venivano esclusi i donatori di sangue positivi al virus dell’epatite B, rimaneva una percentuale consistente di soggetti con sangue infetto: l’80%. Si ipotizzava l’esistenza di un patogeno nel loro sangue diverso dal virus B e da quello A, detto perciò “non-A non-B”. Di quale virus si trattava?

La malattia che determinava era molto diffusa e, nella maggior parte dei casi, asintomatica. Inoltre, aveva un periodo di incubazione più breve dell’epatite B. Perciò, secondo Alter doveva trattarsi di un’altra malattia e, dunque, di un altro virus. Un passo in avanti nella scoperta della futura epatite C e della sua successiva cura lo si è fatto negli anni ‘7o. L’equipe di Alter aveva capito che la malattia si poteva trasmettere anche agli scimpanzé tramite trasfusione di siero umano infetto. Diventava, così, possibile studiare la malattia sugli animali.

Il contributo di Michael Houghton nella scoperta del nuovo virus

È a questo punto che entra in scena Michael Houghton. Il virologo britannico ha iniziato a studiare questo virus sconosciuto nel 1982 sugli scimpanzé malati. La sua equipe è riuscita a stabilire la relazione fra la malattia “non-A e non-B” – di cui erano affette milioni di persone nel mondo – e quella provocata dal nuovo virus chiamato “C”. Un altro tassello per avvicinarsi alla sua cura.

Il passo in avanti decisivo di Charles Riche nella scoperta dell’epatite C

Ci voleva un ulteriore sforzo per stabilire con certezza matematica questa relazione. Per questo bisognava isolare il virus. Decisivo è il contributo delle due equipe guidate da Charles Rice e da Kunitada Shimotohno che hanno individuato un’area del virus dedicata alla sua replicazione.

Questa particella del virus, iniettata nel fegato degli scimpanzé, determinava in essi i sintomi dell’epatite. Era questa la prova decisiva. Così si è capito che il virus C era responsabile dell’epatite cronica e provocava la stessa risposta anticorpale che avviene nell’uomo.

In breve, il nuovo virus degli scimpanzé era lo stesso che provocava l’epatite nell’uomo. Era il passo decisivo per la futura cura dell’epatite C.

La cura del virus dell’epatite C che salva milioni di vite

La scoperta del virus dell’epatite C ha permesso ai tre scienziati di ricevere altrettanti premi Nobel (qui il video dell’annuncio dei tre premi Nobel) e ha aperto la strada alla relativa cura.

Dunque, molti sono stati i benefici apportati dall’identificazione del patogeno, a partire dal 1957. In quell’anno, infatti, è stata scoperta la prima cura per l’epatite C: l’interferone. In seguito, per la prima volta nella Storia, l’epatite C è diventata curabile grazie a farmaci antivirali specifici ad azione diretta. Il primo farmaco antivirale ad ottenere l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) è il simeprevir, nel novembre 2013, come si apprende dal sito dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). A seguire, vi è il sofosbuvir, approvato per la prima volta nel dicembre 2013 dalla FDA serve per curare la forma cronica di questa malattia. Successivamente, nell’ottobre 2014  è approvato dalla stessa FDA l’uso della combinazione di ledipasvir e sofosbuvir, che permette di raggiungere la negatività al virus dopo 12 settimane dalla conclusione del trattamento.

Il trattamento antivirale a breve termine, inoltre, garantisce una cura per il 95% dei pazienti infetti dal virus che causa l’epatite C, anche in forma grave. Infine, si sono ridotti la farmacoresistenza e molti effetti collaterali.

Il grafico sulla prevalenza del virus nel mondo

Per capire meglio la portata della scoperta della cura dell’epatite C basta osservare i dati relativi al tasso di prevalenza nel mondo di questo virus. La prevalenza, in sostanza, indica quanti individui sono affetti dal virus su una data popolazione in un determinato momento. I dati delle seguenti immagini si riferiscono al periodo 2015-2019; quelli del periodo 2020-2030 sono, invece, le proiezioni sulla base dell’andamento attuale. I colori si riferiscono alla diversa prevalenza del virus e vanno dal rosso (con una prevalenza superiore al 3% dei casi) al verde (prevalenza fra lo 0% e il 0,4%).

Si è scelto come anno di partenza il 2015 per poter cogliere, a titolo esemplificativo, i progressi che ci sono stati e che avverranno nel corso del tempo grazie alle scoperte dei nuovi antivirali. Per capir meglio i passi in vanti resi possibili da questa scoperta, è sufficiente tener d’occhio due Stati in particolare. Innanzitutto la Cina, in quanto è il Paese più colpito al mondo dal virus che causa l’epatite C; poi, l’Italia che, nel 2015, occupava la tredicesima posizione:

L'immagine raffigura la prevalenza del virus dell'epatite c nel mondo relativo all'anno 2015. Al primo posto vi è la Cina, con i suoi circa 10 milioni di casi. L'Italia, invece, occupa il tredicesimo posto nel mondo

Il virus dell’epatite C nel mondo (2015). Al 1° posto la Cina con circa 10 milioni di casi. L’Italia è al 13° posto. (Fonte: Polaris Observatory)

Andando avanti con gli anni si arriva al 2019:

L'immagine raffigura la prevalenza del virus dell'epatite c nel mondo relativo all'anno 2019. La Cina è sempre al primo posto, ma il totale delle infezioni dal virus che provoca l'epatite C è in calo. Inoltre, l'Italia scende dal tredicesimo al quattordicesimo posto

Il virus dell’epatite C nel 2019. La Cina è sempre al 1° posto, ma il totale delle infezioni dal virus è in calo. L’Italia scende al 14° posto. (Fonte: Polaris Observatory)

Come si può cogliere, nel 2019 si è verificato un miglioramento della situazione generale. Infatti, in Cina i contagiati dal virus sono diminuiti rispetto al 2015 (per capirlo meglio è sufficiente ingrandire l’immagine). Inoltre, il nostro Paese scende dal 13° al 14° posto, segno che anche qui i contagiati dal virus sono diminuiti perché guariti. Infine, se la lotta al virus continua con i ritmi del quinquennio 2015-2019 allora la situazione nel mondo nel 2030 sarà la seguente:

In questo terzo grafico, invece, è raffigurata la prevalenza del virus dell'epatite C nel mondo nel 2030. La Cina è sempre al primo posto, ma il totale delle infezioni dal virus è in ulteriore calo. Inoltre, l'Italia non risulta più tra i Paesi più colpiti

La previsione del virus dell’epatite C nel 2030. La Cina è sempre al 1° posto, ma il totale delle infezioni dal virus è in ulteriore calo. L’Italia non risulta più tra i Paesi più colpiti. (Fonte: Polaris Observatory)

Pertanto, nel futuro la situazione migliorerà ulteriormente, con la scomparsa dell’Italia dai Paesi più colpiti con un tasso di prevalenza del virus fra lo 0% e lo 0,4%, diventando da gialla (colore che indica una prevalenza fra l’1,01% e il 2%) a verde. Anche in Cina ci saranno dei miglioramenti significativi, perché il numero dei contagiati dal virus si avvicinerà sempre di più ai 5 milioni di persone. Segni, questi, dell’avanzamento nella cura dell’epatite C.

Lo studio di The Lancet sulla cura dell’epatite C

Tutto ciò è avvalorato da uno studio sull’epatite pubblicato nel 2019 dalla rivista scientifica The Lancet. Secondo gli autori della ricerca, l’introduzione dei nuovi antivirali ad azione diretta nel 2013, avendo pochi effetti collaterali, ha permesso di curare oltre il 90% dei pazienti. Questo a maggior ragione grazie al loro costo diventato più economico dopo l’introduzione dei farmaci generici (cioè con lo stesso principio attivo ma prodotti da aziende poco conosciute).

Nel 2016, prosegue lo studio, hanno ricevuto le cure per l’epatite C quasi un milione e mezzo di persone. Sempre in quell’anno, i 194 Stati aderenti dell’OMS per la prima volta hanno adottato la prima strategia globale per l’epatite in vista della sua eradicazione totale entro il 2030. In particolare, gli Stati stanno lavorando per ridurre del 65% la mortalità causata dall’epatite C e dell’80% la sua incidenza (cioè i nuovi casi). Secondo i ricercatori, però, l’obiettivo dell’OMS di eliminazione l’epatite C potrà essere raggiunto solo nel 2032 (e non nel 2030) e «impedirebbe 15,1 milioni […] di infezioni da HCV [cioè epatite C, n.d.r] e 1,5 milioni morti entro il 2030».

Queste scoperte assumono tutta la loro rilevanza se si considera che sono 71 i milioni di persone affette dall’epatite C nel mondo, secondo l’ultimo rapporto realizzato dall’istituto di ricerca Boston Consulting Group.

Un futuro senza l’epatite C è possibile

Dunque, si tratta di un risultato straordinario che ha impedito e impedirà a milioni di persone nel mondo di ammalarsi di questa patologia. A patto che le varie Nazioni continuino a investire nella salute pubblica, anche a livello globale, per garantire, così, una cura per l’epatite C a tutti.

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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