Gli esperti di psicologia digitale: i videogame migliorano la concentrazione

Il 19 e 20 febbraio 2021 si è tenuta la prima Conferenza Europea sulla Psicologia Digitale, dove è emerso che i videogiochi possono essere un utile trattamento per chi soffre di deficit di attenzione. L’incontro si è occupato dell’applicazione delle tecnologie digitali alla psicologia, ossia della Terapia on-line (o E-therapy per ovviare alla distanza medico-paziente) e dei videogiochi con funzione curativa. L’obiettivo della conferenza era quello di riflettere sull’impiego e gli effetti di questi nuovi strumenti e metodologie digitali per il trattamento e la cura dei pazienti. La risposta è stata pienamente positiva. Gli studi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,  dell’Università degli Studi di Parma e dell’Università di Barcellona provano che i videogiochi:

  • sviluppano abilità cognitive
  • migliorano la gestione dell’ansia
  • aiutano a regolare le emozioni
  • permettono di creare un rapporto cooperativo con lo psicoterapeuta
  • riducono il deficit dell’attenzione 

I videogiochi per la diagnosi e il trattamento del disturbo da deficit di attenzione (ADHD)

Proprio sui problemi di concentrazione e attenzione, con riferimento ai soggetti affetti da ADHD, si è soffermato uno studio del 2020 coordinato da Immaculada Peñuelas-Calvo. La docente è ricercatrice presso il Dipartimento di Psichiatria e Psicologia Clinica dell’Ospedale Universitario Fondazione Jimenez di Marid. Si tratta del primo studio che sistematicamente esamina i risultati dell’impiego dei videogiochi per la diagnosi e il trattamento dei bambini affetti da deficit dell’attenzione. Il lavoro fa il punto della situazione selezionando i più importanti studi precedenti (22) sui bambini ADHD.

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I soggetti che soffrono del disturbo da deficit dell’attenzione (ADHD), detto anche disturbo di  iperattività, sono circa il 5% del totale dei bambini nel mondo. L’ADHD, che colpisce prevalentemente i maschi, provoca una minor aspettativa di vita e una maggiore esposizione alle dipendenze e all’autolesionismo. Lo studio sottolinea anche che l’inefficacia del trattamento farmacologico è stimata tra il 18 e il 36% dei casi, che possono presentare delle controindicazioni anche molto serie.

Risultati concreti dei test tramite videogiochi sui pazienti

Le due tipologie di test con videogioco, analizzate dallo studio di Peñuelas-Calvo, riguardano la diagnosi e la terapia dell’ADHD. Per quanto riguarda la diagnosi, sono stati coinvolti 1473 soggetti, per la maggior parte maschi, di età media tra gli 8 e i 14 anni. La valutazione dell’ADHD è stata poi confermata dai tradizionali test clinici. Relativamente al test sugli effetti benefici della terapia con videogiochi, i partecipanti con deficit di attenzione erano 717. Il periodo di trattamento andava dalle 3 alle 24 settimane e l’età media dei partecipanti era compresa tra gli 8 e i 16 anni. In entrambi i test il videogioco si è dimostrato determinante: è veloce e preciso nello stabilire la presenza del disturbo ADHD, è molto utile e porta a significativi miglioramenti quando impiegato nei trattamenti.

Per migliore l’efficacia e i benefici del videogioco come strumento terapeutico per i pazienti ADHD, Peñuelas-Calvo suggerisce di inaugurare una cooperazione tra gli ingegneri informatici, i graphic designer e i medici. I primi e i secondi si occuperebbero della creazione di interfacce e grafiche più accattivanti, mentre i medici fisserebbero gli obiettivi e i percorsi di cura. Utilissimo inoltre sarebbe adattare i videogiochi-terapeutici, presenti su computer o tablet, allo smartphone, lo strumento digitale oramai più utilizzato.

Risvolti pratici del trattamento con videogiochi sui pazienti con deficit dell’attenzione

Il soggetto ADHD generalmente ha difficoltà a concentrarsi per lunghi periodi di tempo su un’attività che non lo appassioni. I videogiochi interattivi e coinvolgenti quindi potrebbero essere la soluzione al problema, generando il meccanismo opposto alla distrazione, ossia l’iperfocalizzazione (concentrazione prolungata su un’attività che appassioni). Infatti, i risultati dei 22 studi presi in esame mostrano che, tra i soggetti testati, pochissimi hanno abbandonato l’attività.

La tipologia di videogioco utilizzato è il serious game, ossia un videogioco che possiede uno scopo diverso dal semplice divertimento. In questo caso l’obiettivo è sviluppare le aree cognitive e curare l’ADHD. Il paziente non si rende conto, mentre gioca, di essere nel pieno di una terapia che vuole migliorare la concentrazione e rafforzare le connessioni neurali. Inoltre, il videogioco potrebbe sopperire alla difficoltà del sistema sanitario di seguire con regolarità e a stretto contatto i soggetti ADHD. La terapia del videogioco da casa ovvierebbe al problema della distanza e ridurrebbe di molto i costi delle sedute.

The EndeavorRx: il primo videogioco approvato con scopo terapeutico

Nel giugno 2020, l’FDA (ente governativo americano per la regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) ha promosso il videogioco The EndeavorRx a trattamento terapeutico per soggetti ADHD. Il videogioco è parte integrante di un percorso specifico di cura per il bambino ADHD tra gli 8 e i 12 anni e deve essere prescritto da un professionista. Il paziente viene sottoposto a molteplici stimoli sensoriali e sfide motorie andando a sollecitare nel cervello le aree chiave dell’attenzione. L’utente dovrà seguire il proprio personaggio facendo sì che collezioni oggetti ed eviti gli ostacoli. Tali azioni richiedono concentrazione e flessibilità per gestire più compiti contemporaneamente. Sui 600 bambini testati con The EndeavorRx, più di un terzo ha subito significativi progressi già dal primo mese di trattamento. Concluso il secondo mese di cura, il 45% dei soggetti ha riportato sensibili miglioramenti, a prescindere dall’assunzione di farmaci.

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Francesca Iaquinto

Francesca Iaquinto

Laureata in Lettere Moderne alla Statale di Milano, è stata studentessa di merito presso il Collegio di Milano per 5 anni. Nel dicembre 2019 ha vinto una Borsa di Studio per la scrittura della tesi presso la Duke University (North Carolina). Attualmente è docente di scuola secondaria, proofreader e scrive per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo costruttivo per diventare pubblicista.

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