I disturbi del comportamento alimentare (DCA), comunemente conosciuti come disturbi alimentari sono condizioni complesse che coinvolgono mente, corpo, emozioni. Quando alla DCA si associa poi anche un bisogno di controllare l’aspetto del proprio corpo, sport e alimentazione, diventano due elementi fondamentali della vita delle persone affette da DCA da tenere sotto controllo.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sempre più persone — circa 3 milioni in Italia nel 2025 — vivono un conflitto silenzioso tra il desiderio di controllo del proprio corpo e il bisogno di accettazione. In molti casi, questo conflitto si manifesta attraverso un rapporto disfunzionale con l’attività fisica e con le abitudini alimentari. Sempre secondo l’Iss, 8 persone su 10 che soffrono di DCA sono donne, e l’età più frequente in cui si manifestano tali disturbi è tra i 14 e i 25 anni.
Spesso, per avere il controllo del proprio corpo, si inizia a fare attività fisica. In alcuni casi, come nell’anoressia, l’esercizio fisico può diventare compulsivo e rinforzare comportamenti patologici, ostacolando una eventuale terapia e aggravando la malattia. Per questo la valutazione delle motivazioni, della frequenza e del contesto dell’attività fisica è essenziale in ogni percorso terapeutico.
Ma quando l’allenamento è nocivo e quando è benefico?
Quando sport e alimentazione non vanno d’accordo
Lo sport, se svolto in modo eccessivo, incontrollato o spinto da scopi disfunzionali, può essere un fattore aggravante nei casi di disturbi alimentari. Nelle persone affette da DCA si parla di Problematic Physical Activity (PPA): una forma di esercizio tossico, spesso compulsivo, irrefrenabile o guidato da bisogni patologici.
La PPA può essere volontaria (quando si vuole perdere peso), oppure involontaria (dovuta a spinte biologiche non controllabili). Chi la presenta mostra frequentemente elevati livelli di ansia, tratti ossessivo – compulsivi, dipendenza dall’esercizio. Un ulteriore segnale è quello di una ridotta capacità di riposo e iperattività motoria, anche in condizione di severo sottopeso.
Sport e alimentazione devono essere gestiti con consapevolezza
Per chi soffre di disturbi alimentari la terapia non mira a bruciare calorie, ma a recuperare un rapporto sano con il movimento. Diversi studi hanno dimostrato che, se svolto in modo strutturato e consapevole, aumentando il dispendio energetico lo sport può contribuire a migliorare il rapporto con il cibo, oltre che a regolare l’umore e a diminuire i sintomi depressivi.
È importante sottolineare che l’attività fisica dovrebbe essere adattata alle condizioni psicofisiche del paziente. È inoltre fondamentale che sia motivata da obiettivi funzionali, non estetici. L’attività fisica, dovrebbe poi avvenire in un contesto privo di giudizio.
Attualmente non esiste un tipo, un’intensità e una frequenza di allenamento ideale per tutti, ma l’idea di base è che il movimento possa diventare una risorsa terapeutica, contribuendo ad una maggiore consapevolezza nel rapporto con il proprio corpo.
Allenarsi è nocivo o terapeutico?
Sport e alimentazione sono quindi, in talune circostanze, due elementi da gestire con attenzione. Lo sport in sé non è né buono né cattivo, ma è il modo in cui viene praticato che fa la differenza. Nei disturbi alimentari può essere un rischio clinico, soprattutto nei casi di anoressia; quando però è portato avanti con consapevolezza, si può facilmente trasformare in uno strumento terapeutico efficace.
È importante saper distinguere la differenza tra movimento tossico e movimento terapeutico e deve avvenire considerando il profilo psicologico, fisico e sociale del paziente.
Quando il rapporto tra sport e alimentazione è problematico, è inoltre importante sapere di potersi avvalere, tanto del supporto di professionisti della salute mentale, quanto di quella fisica. È questa la via per uscire dalla spirale del controllo, della colpa e della compulsione.

