2mila famiglie in Italia preferiscono l’educazione parentale alla scuola tradizionale. Una linea di tendenza che ha i suoi pro e i suoi contro

All’ insaputa di molti, l’homeschooling o educazione parentale, cioè la possibilità di non iscrivere i figli a scuola per educarli personalmente a casa, è ancora una modalità esistente e accettata. Da non confondere con la didattica a distanza, monitorata e gestita dalla scuola, l’educazione parentale è una possibilità di istruzione a carico dei genitori che diventano educatori del proprio figlio. Un’alternativa alla scuola tradizionale già esistente e molto attiva nell’Ottocento, ma mai effettivamente estinta, soprattutto negli USA.

La riconsiderazione di questo tipo di apprendimento giunge proprio dagli Stati Uniti in risposta alla chiusura globale delle scuole causa pandemia. Ma può davvero considerarsi una soluzione vincente? Sarà efficace un’educazione gestita in famiglia?

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Il fenomeno statunitense

In 33 stati USA le iscrizioni alla scuola primaria e secondaria lo scorso autunno sono diminuite di oltre 500.000 studenti. Questo emerge da un’analisi effettuata da Chalkbeat e The Associated Press. Si tratta di un cambiamento importante considerando che le iscrizioni complessive in quegli Stati sono invece aumentate negli anni scorsi.

La prima domanda che ci si pone è se gli studenti usciti dal sistema scolastico tradizionale torneranno in classe – a pandemia conclusa – o no. Il rischio di non ritorno è previsto soprattutto da parte degli studenti più grandi rispetto ai giovanissimi. Questo perché, a detta degli educatori, si tratta di una categoria meno flessibile. I pedagogisti sperano in un intervento da parte dei distretti scolastici, dei funzionari statali e delle agenzie di servizi sociali per dialogare con gli studenti “scomparsi” in modo da riportarli a scuola.

Educazione parentale e normativa in Italia

Il decreto legislativo del 16 aprile 1994 n. 297 prevede la possibilità da parte dei genitori di occuparsi personalmente dell’istruzione dei propri figli. L’educazione parentale consiste infatti nella formazione dei figli in famiglia o tramite una figura esterna individuata dai genitori. Nonostante lo studente non frequenti la scuola, ha comunque con essa un rapporto basato su degli obblighi di legge da adempiere attraverso un’autocertificazione annuale. I giovani educati in casa non sono infatti esentati dagli esami per il passaggio alla classe successiva, anzi, dovranno sostenerli come tutti gli altri alunni.

Quali ragioni stanno dietro all’homeschooling?

Istruire in famiglia i propri ragazzi è una decisione ponderata per i più a scopo preventivo dell’individualità del figlio. Molte famiglie infatti ritengono che la pressione sociale, il bullismo e le dinamiche adolescenziali poco attenzionate dagli insegnanti, tendano a sfociare in disturbi della personalità e in dipendenze dal fumo, dalla droga e dall’alcool. Inoltre la gestione dell’apprendimento in casa appare più gestibile. Ma cosa ne pensano i pedagogisti?

Il dottore Daniele Novara, fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, già in disaccordo per le scuole chiuse dall’emergenza da coronavirus, su Skytg24 – riguardo all’istruzione in famiglia – dichiara di trovarsi «contrarissimo all’idea che i genitori facciano da insegnanti ai figli». Secondo l’esperto infatti i genitori non avrebbero le capacità di istruire in modo razionale il proprio figlio. Inoltre, la mancata esperienza di socialità in una classe eterogenea potrebbe rischiare di non forgiare il senso civico del ragazzo.

Diverso, secondo il dottore Novara, il caso di gruppi di genitori che si impegnano a creare «un modello di scuola alternativo a quello tradizionale». Uno di questi è la cosiddetta “scuola nel bosco”, recente fenomeno che ha coinvolto tutta Italia con l’intento di avvicinare i giovani alla natura. Una direzione del genere è più tollerata dagli educatori perché non nega socialità e scelte pedagogiche sicure. La scuola infatti rimane per gli esperti un’esperienza fondamentale non solo per l’istruzione del giovane, ma anche per la sua formazione civica e sociale.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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