Abitare i media attraverso una comunicazione non ostile e non nociva

La media ecology, o ecologia dei media, interviene per arginare le tendenze inquinanti che modificano gli equilibri degli ecosistemi mediatici e allo stesso tempo minacciano la salute dell’uomo che li abita. Tra queste tendenze ci sono i discorsi d’odio che spesso riempiono il web e in particolare i social network, le fake news, il fenomeno del clickbait ovvero della monetizzazione legata all’apertura di alcuni link, l’infodemia che imperversa tra le agenzie di stampa, web e non, che si potrebbe limitare attraverso un approccio costruttivo alle notizie.

L’ambiente dei media è messo a rischio anche da forme di marketing aggressivo che commercializzano i dati acquisiti durante l’utilizzo dei dispositivi, la formulazione di recensioni false o ingannevoli, pratiche commerciali scorrette e la gestione di alcuni algoritmi che orientano la scelte degli utenti.

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Oltre ai rischi legati ai furti di dati privati o della propria identità digitale, altamente nocive sono le cattive forme di comunicazioni che degradano la dignità della persona come l’hate speech, la proliferazione di haters e troll, l’aggressività che permea i commenti e infine abitudini meno pericolose, ma non per questo meno inquinanti, come l’uso scorretto di chat, la bulimia di comunicazioni e la scarsa consapevolezza del funzionamento dei mezzi digitali.

Proprio perché tutti viviamo in ambienti simbolici e tecnologici che allo stesso tempo modificano e sono modificati dall’azione umana, in quella che gli esperti chiamano mediosfera, i media rivestono un’importanza capitale essendo tra i principali strumenti di comunicazione. Superare l’inquinamento dell’ecosistema mediale è il ruolo della media ecology.

Questo approccio interdisciplinare e sistemico relativamente recente, nasce nel 1971 da Neil Postman, sociologo e teorico dei media, secondo il quale

«lo studio dei media in quanto ambienti […] comporta [ndr] – uno sguardo al modo in cui i media influenzano la percezione e la conoscenza, le emozioni e i valori umani»

Per introdurre la necessità di un approccio ecologico, bisogna dare uno sguardo ai dati del report di We are social, un’importante agenzia creativa e di sviluppo digitale.

A luglio 2021 gli utenti di internet rappresentano il 61% della popolazione mondiale con un incremento annuo del 6%. Gli utenti che utilizzano un social costituiscono invece il 57% della popolazione mondiale.  L’85% degli utenti di internet dichiara di giocare ai videogame. A questi vanno aggiunti i dati relativi all’IoT (Internet of Things) ossia l’insieme dei dispositivi personali, come gli smartphone, i wearable, o il numero crescente di apparecchiature domestiche intelligenti, che sono connessi a Internet, e che raccolgono e scambiano dati, il cui numero stimato nel mondo ammonterebbe a 46 miliardi entro la fine del 2021. Il tempo medio complessivo di utilizzo dei media è all’incirca di otto ore giornaliere.

Come sviluppare una coscienza ecologica dei media

Innanzitutto è necessario approfondire l’ecologia dei media nei percorsi educativi, lavorativi, formativi e scolastici come avviene nei progetti dedicati alla media education in risposta alla povertà digitale.

Per una rinnovata coscienza ecologica dei media, di cui la media ecology si fa promotrice, è necessario maturare nuove consapevolezze affrontando il virtuale come se fosse reale, monitorando la propria attività sui media e ricordando che condividere è sempre una responsabilità, oltre a conoscere i rischi e le opportunità della rete.

Sotto il profilo dell’interazione sarebbe utile evitare l’intasamento di messaggi non pertinenti nelle chat e nelle caselle mail, tenere a mente che ogni movimento lascia una traccia digitale di dati e tutelare la reputazione della propria identità digitale senza dimenticare che ogni utente è una persona.

Tra i suggerimenti operativi si possono stabilire delle “no-smartphone-zones”, approntare una vera e propria dieta mediale, disattivare le notifiche per poter far riposare il cervello, imparare a impostare la privacy dei propri dispositivi e provando anche ad essenzializzare l’attività sui social.

Buone pratiche di media ecology

Sono nate nel tempo molte buone pratiche finalizzate a sviluppare un approccio positivo e costruttivo ai media accrescendo la sensibilità verso la media ecology. Da un’idea di Davide Dal Maso, uno studente di quarta superiore nel 2019 nasce il progetto del Movimento Etico Digitale chiamato Social Warning, creato per sensibilizzare ad un uso consapevole dei media attraverso una rete capillare di formatori-volontari in tutta Italia.

Un altro esempio è costituito da Parole O_Stili progetto sulla sensibilizzazione contro la violenza verbale, che ha stilato diversi decaloghi dedicati ad una comunicazione ecologica, con vere e proprie indicazioni pratiche sull’utilizzo dei media.

La prima iniziativa in assoluto resta la Netiquette redatta dal Network Working Group nel 1995 per i neofiti della rete, un vero e proprio galateo del digitale con regole precise per una comunicazione gentile.

L’ecologia dei media, in definitiva, sostiene la diffusione di una cultura che non subisca l’evoluzione del sistema mediatico ma ne valorizzi gli aspetti positivi, perché la comunicazione è un bene comune tra i più importanti e bisogna imparare a prendersene cura. Se è vero che senza comunicazione non c’è società è anche vero che senza una buona comunicazione non è possibile nessuna buona società.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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