Lo spreco di cibo è il contraltare della fame nel mondo. Entrambe piaghe antiche, che da sempre poggiano sulla disuguaglianza sociale, che a sua volta rinvigorisce quella economica.

Questo evergreen, tuttora immutato, si affianca però all’impatto ambientale che lo spreco comporta, una dimensione dello sviluppo con cui si è iniziato a fare i conti solo da qualche decennio ma che oggi surclassa qualunque altra priorità di intervento. Per arginare il fenomeno, ci sono pratiche e iniziative “di ritorno”, come la spigolatura.

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Lo spreco di cibo è uno spreco di risorse (dove non ce ne sono)

Secondo il report WWF e Tesco  del 2021 nel mondo ogni anno due miliardi e mezzo di tonnellate cibo non vengono consumate: una quantità equivalente al 40% della produzione complessiva. Di contro, più di 820 milioni di persone vivono una condizione di fame o malnutrizione e molte altre pagano, tra gli effetti della guerra in Ucraina, la scarsità di forniture alimentari.

Stringendo la lente sul nostro Paese, scopriamo che l’Italia detiene il primato europeo. Il Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC) ha rilevato che nel 2021 ci sono stati oltre 7 miliardi di cibo finito nella spazzatura tra le mura domestiche (68%), che sommati alle perdite agricole (25%) e della GDO (7%), fanno totalizzare 10 miliardi alla “filiera italiana dello spreco”.

Il cibo sprecato diventa poi un ulteriore rifiuto, che richiede spazio, processi e dispendio di risorse energetiche; una catena che porterà allo smaltimento e di conseguenza al rilascio in atmosfera di sostanze inquinanti.

Per cogliere la portata di questo impatto, è molto significativa una dichiarazione di Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP):

“Se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe il terzo al mondo per emissioni di gas serra”.

Queste infatti corrispondono all’8-10% – precedute solo da Cina e USA –  a cui si aggiungono le emissioni di CO2 degli altri comparti della filiera agroalimentare, come i trasporti e il packaging dei consumi. Complessivamente, più di un terzo delle emissioni globali secondo quanto ha calcolato l’IPCC (37%).

Il recupero della spigolatura

Tra le soluzioni “di ritorno” troviamo appunto la pratica – conosciuta universalmente come gleaning – che riprende la tradizione contadina comune tra ’700 e ‘800 di raccogliere le spighe di grano rimaste nei campi dopo la mietitura. Allora questa attività era concessa a scopo caritatevole per ridistribuire i frutti della terra ai braccianti poveri – tipicamente donne – e non si faceva solo con il grano, ma anche altri prodotti alimentari. Al tempo in Inghilterra questo diritto era persino previsto dalla legge.

Proprio in Inghilterra è nato con Tristram Stuart – attivista di Cambridge – il Gleaning Network, poi divenuto parte dell’organizzazione benefica per lo spreco alimentare Feedback Global. Ciò ha restituito popolarità alla spigolatura soprattutto negli ultimi tempi, complice l’aumento del costo della vita e delle materie prime.

In Cornovaglia, dove nacquero le prime associazioni, in questo modo negli ultimi sei mesi si è riusciti a recuperare 100 tonnellate di verdure in eccesso, grazie al lavoro portato avanti da Holly Whitelaw  – coordinatrice del Cornwall Gleaning network – che con il team delle altre otto coordinatrici, pagate con le donazioni benefiche di Feeding Britain, lavorano a tempo pieno per la causa insieme a molti volontari. Del cibo raccolto beneficiano banchi alimentari, mense per i poveri, rifugi e recentemente anche ristoranti.

Oggi ci sono 25 gruppi di spigolatura in tutta l’Inghilterra e ogni hub invia fino a 300 casse di cibo fresco a settimana; il prossimo obiettivo sarà trovare un brand di supermercati che finanzi una rete nazionale di spigolatura. Peraltro, un esempio replicabile ovunque.

E in Italia?

Con lo spirito di sensibilizzare sull’attività agricola di recupero delle risorse e per trasmettere ai ragazzi il valore del senso di cooperazione e di comunità, è nato nel territorio forlivese il progetto “Spigolatura solidale”, grazie all’azienda agricola San Martino e a New Factor, capofila del progetto In-Noce, che si prefigge di valorizzare le colture della frutta secca e disidratata e in senso ampio dei prodotti alimentari dell’area romagnola in cui operano.

L’iniziativa infatti coinvolge da 6 anni un istituto comprensivo del territorio che porta avanti – a mo’ di laboratorio – l’attività di spigolatura nel noceto dell’azienda, i cui frutti hanno letteralmente finanziato opere e acquisti per l’istituto stesso. Anche quest’anno l’appuntamento non si farà attendere, previsto come di consueto per la fine di ottobre.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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