Qualche giorno fa è stato pubblicato il report di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo nel 2022. Questo lavoro che va avanti fin dagli anni ’80 è molto corposo e un punto di riferimento in questo campo. Esso include l’analisi di 156 paesi e cinque macro regioni con l’introduzione della segretaria generale dell’organizzazione Agnès Callamard.

In questo articolo cercheremo di analizzare con approccio costruttivo questo report alla luce di un contesto – che dura da un decennio ormai – di deterioramento e logoramento dell’impianto legislativo e culturale che tutela i diritti umani in quasi tutto il mondo. Un contesto, esacerbato nel 2022, da una nuova guerra e da tutta una serie di crisi (in particolare quella climatica) che non accennano a fermarsi.

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Amnesty International denuncia il doppio standard

Il tema principale che emerge dal report è la questione molto spinosa del doppio standard utilizzato dai paesi occidentali. Da un lato, infatti, si possono osservare dei comportamenti virtuosi della comunità internazionale in risposta ad esempio all’invasione russa in Ucraina. Dall’altra, però, c’è da constatare un disinteresse politico verso altre crisi o altre situazione che rimangono completamente oscurate.

In modo particolare si fa riferimento alla condanna netta della maggior parte degli stati dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite verso l’invasione russa. E il sostegno politico ed economico, in particolare dell’Occidente, verso la Corte penale Internazionale al fine di sostenere le indagini sui crimini di guerra nel conflitto in corso. L’importanza di questi gesti è stata parzialmente oscurata dal fatto che questo tipo di atteggiamento non è stato assunto nel contesto di altri conflitti come quello che avviene in Palestina, in Yemen o in Nigeria. Il report ci ricorda, ad esempio, che gli Stati Uniti non hanno mai riconosciuto la giuridicità della Corte internazionale e in alcuni casi come in Afghanistan e in Iraq si sono addirittura opposti alle indagini.

Amnesty International rivela un simile meccanismo anche quando si parla dell’arrivo dei rifugiati ucraini.  Questo evento “ha costituito il più grande caso singolo di sfollamento nel continente dalla Seconda guerra mondiale.” Qui la risposta europea è stata esemplare con l’attivazione, per la prima volta, della direttiva europea sulla protezione temporanea e un’accoglienzadignitosa”. Di matrice opposta l’atteggiamento della comunità europea verso i migranti provenienti da altri conflitti come quello afghano o siriano.

A questo proposito, la segretaria generale ha lanciato un interrogativo (o per meglio dire un auspicio): “È possibile che l’aggressione della Russia verso l’Ucraina possa anche fungere da campanello d’allarme, a livello generale? Che possa servire a unire il mondo attorno ai diritti umani e a valori universali?” In generale, quindi, l’organizzazione chiede a gran voce che sulla base di questa forte volontà politica di giustizia che è emersa, il 2023 possa essere finalmente il punto di svolta in materia di diritti umani. Nella direzione della coerenza e della trasparenza.

Alcune notizie positive sui diritti civili e di genere

Il report è pieno di prove su come gli stati abbiano cercato di ridurre le garanzie di protezione dei diritti umani. D’altro canto è giusto ricordare che alcune buone cose sono successe soprattutto sul versante dei diritti civili e di genere.

Grande risonanza mediatica ha avuto la legge “solo sì è sì” introdotta in Spagna, in cui si sancisce giuridicamente il principio del consenso in ogni atto sessuale. Anche Finlandia e Belgio hanno introdotto disposizioni simili ed in Cina, Congo, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Zimbabwe c’è stato un rafforzamento delle “tutele per donne ragazze contro la violenza sessuale e di genere.” Mentre Regno Unito e Ucraina hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero il trattato internazionale più importante in materia di violenza contro le donne.

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Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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