Lo spreco alimentare è una delle più grandi emergenze dei nostri tempi ed è per questo che la Commissione Europea, accanto al consueto “da consumarsi preferibilmente entro”, ha presentato agli esperti degli Stati membri una proposta di revisione delle norme sulla data di scadenza degli alimenti: l’aggiunta in etichetta della dicitura “spesso buono oltre”.

Una mossa a sostegno dello spreco alimentare «perché consente – si legge nel testo dell’atto delegato su cui Bruxelles è al lavoro – una migliore comprensione influenzando il processo decisionale dei consumatori in merito all’opportunità di consumare o eliminare un alimento».

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Nelle case italiane, ricorda la Coldiretti, si gettano mediamente ogni anno oltre 27 chili di cibo ancora buono per abitante, con perdite economiche nei bilanci delle famiglie per quasi 6,5 miliardi di euro. In Europa vengono prodotti 57 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari pari a 127 chili per ogni abitante con un costo di circa 130 miliardi di euro.

I cinque sensi come efficaci strumenti per il controllo della qualità

Come conseguenza di Farm to Fork, strategia per aumentare la sostenibilità ambientale delle politiche europee, la Commissione Europea decide di modificare alcune indicazioni in etichetta. Come ricorda la normativa europea con il Regolamento UE n. 1169/2011 sull’informazione alimentare, ad oggi le indicazioni per i consumatori sono essenzialmente due: “consumare entro” e “consumare preferibilmente entro”.

Questi suggerimenti stanno rispettivamente a significare un indicatore di sicurezza e la tassativa scadenza dell’alimento alla data indicata nel primo e un indicatore di qualità nel secondo. Si ha pertanto, in quest’ultimo caso, la possibilità di estendere il limite temporale di garanzia sul mantenimento delle caratteristiche organolettiche di ciò che si consuma a tavola.

Secondo la bozza del provvedimento, «la maggior parte dei consumatori non comprende appieno la differenza tra la dicitura da “consumare entro’”e “da consumarsi preferibilmente entro”». Da qui, dunque, la decisione di optare per la formula più diretta, ‘spesso buono oltre’, indicazione che dovrebbe incentivare il consumatore a fare un’analisi basata sui suoi sensi per fare una valutazione degli alimenti correttamente conservati.

Non sono state poche le polemiche da parte di Federalimentare che sottolinea come «la dicitura “Spesso buono oltre” non può essere legalmente definita, quindi crediamo che questo tipo di espressioni non dovrebbero essere richieste su base obbligatoria, ma solo volontaria». Una contestazione da parte delle industrie alimentari non tanto nel merito dell’obiettivo quanto nella scelta del metodo. «Espressioni come “spesso buono oltre”- sostengono gli imprenditori – sollevano incertezze relative alla responsabilità legale degli operatori del settore alimentare con possibili conseguenze per l’integrità del marchio».

Food waste e food loss. Differenze e soluzioni

In Europa, secondo il rapporto di Feedback EU, l’associazione no profit appoggiata da 43 realtà di 20 paesi tra i quali Too Good To Go, European Environmental Bureau e Zero Waste Europe, si sprecano più di 150 milioni di tonnellate di cibo ogni anno. Circa il 53% degli sprechi alimentari avviene tra le mura di casa, ma c’è anche un 17% di cibo sprecato in fase di distribuzione e vendita al dettaglio.

Secondo uno studio della FAO, lo spreco alimentare in Europa e in America settentrionale ammonta a 280-300 kg pro capite l’anno. La catena di sprechi inizia nei campi e negli allevamenti, continua lungo la fase di trasformazione e commercio e termina nelle cucine dei consumatori. Individualmente, ogni anno, vengono gettati in pattumiera da 95 a 115 kg di cibo compresi molti alimenti perfettamente commestibili e che potrebbero essere consumati.

Vitaliano Fiorillo, le cui attività di ricerca si focalizzano sulla gestione della catena di approvvigionamento (Supply Chain Management) e sostenibilità, è docente presso la scuola di direzione aziendale (SDA) dell’Università Bocconi di Milano e spiega come il termine spreco alimentare sia molto ampio. «Si distingue – dice Vitaliano – tra food waste (spreco di cibo) che avviene dopo l’acquisto del prodotto e food loss (perdita di cibo) che avviene nella fase di approvvigionamento delle materie prime durante la produzione, la trasformazione, la logistica e la distribuzione. Entrambi – continua – sono dannosi per le imprese, per i consumatori e per il pianeta, ma la loro differenza sta nel luogo in cui si verificano i rifiuti».

Che si parli di sprechi o di perdite, il cibo richiede energia, acqua, terra, carburante, risorse naturali e umane, denaro e una certa quantità di inquinanti per essere prodotto, trasportato, trasformato, conservato, venduto e conservato a casa. Infine, il cibo sprecato si trasforma in rifiuti, che richiedono ulteriori risorse per essere gestiti.

Esistono soluzioni per prevenire la perdita di cibo e il conseguente spreco. È possibile utilizzare migliori tecnologie per la gestione della catena del freddo come, ad esempio, ottimizzare il controllo degli inventari, consegnare direttamente al cliente e prevedere la durata di conservazione. Tutti miglioramenti operativi che, uniti all’educazione alimentare, possono essere la chiave per risolvere il problema.

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Florinda Ambrogio

Florinda Ambrogio

Laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche con specializzazione in Scienze Forensi, amo la cronaca tanto quanto la narrativa. Da sempre impegnata per portare l'attenzione sui sempre attuali temi della crescita personale. Il cassetto mi piace riempirlo fino all'orlo di sogni che sostituisco non appena diventano realtà. Aperta al cambiamento solo se porta a migliorare.

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