La violenza digitale, specialmente nella sua forma più detestabile ovvero quella del revenge porn – meglio detto diffusione non consensuale di materiale intimo – ha una forte connotazione di genere. Secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell’Interno, nel 2021, ci fu un incremento del 45% di questo tipo di reato (1099 casi). Con un’incidenza del 73% sul genere femminile.

Il fatto che questa violenza sia inquadrata in maniera netta come una violenza di genere, serve a capire che oltre ad un intervento in chiave giuridica e normativa, parte della soluzione è legata a un cambio di mentalità rispetto al modo in cui la società italiana approccia la sessualità femminile e in generale giudica l’esposizione dei corpi delle donne. La tendenza, infatti, è quella del “victim blaming.Stigmatizzare e puntare il dito verso la donna protagonista del materiale intimo rispetto a chi lo ha illecitamente condiviso è normalità in Italia.

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In Italia il caso che scosse maggiormente l’opinione pubblica su questo temo fu sicuramente la morte di Tiziana Cantone. Le cui foto intime furono condivise senza consenso dal ex fidanzato e poi da milioni di altre persone. Attraverso la raccolta firme #intimitàviolata, si arrivò alla legge numero 69 del 19 luglio 2019, inserita nel Codice Rosso.  Questa prevede una pena detentiva da uno fino a sei anni per chi “dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”. La legge, inoltre, inasprisce le pene se chi commette il crimine è un coniuge un ex-partner della vittima. Infine, la pena viene inflitta anche a chi inoltra il materiale.

Da un po’ di tempo a questa parte, anche a livello europeo si sta lavorando per introdurre una direttiva vincolante per gli stati europei che si occupi di violenza di genere. Le novità più importante qui sono date dalla volontà della Commissione Europea di inserire finalmente la definizione dei reati di violenza online e di uniformare in tutta l’Unione Europea la raccolta dei dati proveniente dalle varie istituzioni. Ciò renderebbe possibile esaminare in maniera dettagliata la portata del fenomeno ed intervenire così in maniera più mirata.

Secondo Silvia Semenzin, massima esperta e ricercatrice sul tema del revenge porn, la questione prettamente legale è sicuramente importante. Secondo lei, infatti, molto si potrebbe ottenere cercando di rendere le piattaforme digitali legalmente responsabili per la condivisione non consensuale del materiale intimo e obbligandole ad avere una sede legale nei Paesi in cui operano. Sempre secondo Semenzin alla questione normativa va unita un’azione decisa e organica sul fronte culturale. L’educazione sessuale ed affettiva strettamente legata ai concetti di consenso, fiducia ed empatia risultano fondamentali per arginare il fenomeno del revenge porn.

Progetti e strumenti contro il revenge porn

Negli ultimi anni sono parecchi i progetti che si sono attivati attorno all’idea di creare consapevolezza su cos’è la violenza digitale. Nel 2021, la piattaforma Chayn Italia ha attivato, tra i più giovani, un progetto sul tema diviso in tre fasi. Prima di tutto si è portata avanti una ricerca attraverso analisi e interviste dello stato dell’arte e di come i giovani stanno affrontando la violenza in rete. Nella seconda parte, ancora in corso, l’obiettivo è quello di creare un toolkit di supporto agli adolescenti vittime di questo fenomeno. Ed infine Chayn andrà nelle scuole a divulgare ciò che si è imparato e creato durante il progetto.

Virgin and Martyr è invece un’associazione culturale che cerca di rinnovare e diffondere l’educazione sessuale, socio-emotiva e digitale. Per farlo uso sia i canali social che il mondo offline attraverso incontri nelle scuole, talking tour, campagne di sensibilizzazione e conversazioni collettive.

Se si guarda al contesto internazionale, risulta molto interessante il servizio detto Take it down, messo a disposizione dal Centro Nazionale Per i Bambini Scomparsi e Sfruttati per tutte le persone  sotto i diciott’anni che sono vittime di revenge porn o temono di poterlo diventare in futuro perché hanno inviato un contenuto intimo e la persona che ne è in possesso li sta minacciando. Il servizio collabora con le piattaforme Facebook, Instagram e TikTok e assicura l’anonimato del richiedente. Riducendo così la paura all’esposizione che porta molte persone a non voler denunciare.

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Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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