L’Italia è uno dei pochi paesi europei insieme a Cipro, Romania, Bulgaria, Lituania e Polonia a non prevedere un’educazione sessuale (ed affettiva) obbligatoria a scuola. Questo nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia rilasciato da più di 10 anni delle linee guida e diverse statistiche attestino la sua importanza.

Tra gli impatti diretti ci sono sicuramente la diminuzione drastica di gravidanze indesiderate, di abusi sessuali e di infezioni sessualmente trasmissibili. In generale comunque, l’impatto si espande in maniera più generale alla società tutta, attraverso la diffusione di comportamenti basati sul consenso, il rispetto e l’ascolto. L’accettazione di se stessi e degli altri, compresi i desideri è una delle tante “competenze” offerte dall’educazione alla sessualità e all’affettività.

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La situazione italiana

In Italia l’educazione sessuale è stata storicamente molto contestata sia a livello politico che a livello istituzionale. Non si contano ormai i tentativi di attuazione di una legge che introducesse l’obbligatorietà dell’insegnamento. Il primo tentativo è datato addirittura 1967 fino ad arrivare all’ultima proposta del 2021 a carico della parlamentare Stefania Ascari.

In questo quindi l’Italia non solo disattende i consigli dell’OMS ma anche ciò che è previsto dalla Convenzione di Istanbul (di cui il nostro Paese è firmatario) che recita l’impegno a: «includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale».

Nonostante queste strenue resistenze sarebbe errato dedurre che in Italia l’educazione sessuale ed affettiva non si faccia del tutto. Nella situazione attuale, infatti, la responsabilità di stanziare fondi in questo campo è delegata alle regioni. Essendo l’educazione sessuale parte della macro area della Sanità. La decisione finale e la responsabilità attuativa spettano sempre alla dirigenza scolastica. Il quadro che si va a formare è quindi molto frammentato, con grandi differenze tra le diverse aree geografiche.

Attivismo ed educazione sessuale

In generale, comunque, le persone che si impegnano su questo fronte sono molteplici. Da un lato ci sono i ragazzi e le ragazze stesse che “pretendono” questo tipo di educazione. Secondo i dati dello Studio Nazionale Fertilità forniti dal Ministero della Salute nel 2019, erano ben il 94% degli intervistati coloro che credevano che debba essere la scuola a garantire l’informazione su sessualità e riproduzione. Ciò è dovuto anche dal fatto che molto spesso i giovani si trovano davanti ad un muro di domande senza risposta. In questa situazione, nella stragrande maggioranza dei casi, i giovani chiedono ad internet trovando nella pornografia le loro risposte.

A questo proposito, è importante ricordare il progetto “Making of love”, un’iniziativa di otto ventenni che hanno voluto scuarciare il velo del tabù sessuale, per parlare ai loro pari di sesso, consenso, desiderio e molto altro. La loro attività comprende workshop, lezioni nelle scuole e sensibilizzazione. Sono stati inoltre in grado di scrivere un libro, creare una docuserie ed una fiction su questi temi che stanno portando in giro per le scuole per aprire il dibattito e creare consapevolezza.

Molto importane, in questo contesto, è il lavoro instancabile di consultori, esperti, associazioni, reti civiche e collettivi. Sono loro molto spesso ad andare nelle classi o ad organizzare giornate di sensibilizzazione e momenti di dialogo con la cittadinanza più giovane. È in questo contesto che è nata la petizione Saperlo Prima che appunto mira ad introdurre l’educazione sessuale nelle scuole attraverso un movimento dal basso e di raccolta firma che possa mettere le istituzioni davanti al fatto compiuto, ovvero la volontà della cittadinanza.

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Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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