Il Protocollo di Montreal sta funzionando, dati alla mano. Gli effetti benefici sono evidenti, così come è evidente che dobbiamo proseguire in questa direzione per contrastare il buco nell’ozono.

L’assottigliamento dello strato di ozono è una tematica delicata di cui si parla molto negli ultimi 40 anni. Le cause sono sia naturali sia “umane” a causa del rilascio di gas CFC, clorofluorocarburo, che incidono sull’allargamento del cosiddetto “buco nell’ozono” principale, ovvero quello continente antartico. Per contrastare questo fenomeno e cercare di tornare a livelli precedenti a quelli del 1980 la svolta è avvenuta in Canada nel 1987, con la firma del Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono, risultato attuativo di anni dibattiti sul tema.

La firma del Protocollo di Montreal

Nel 1987 venne ufficializzata la prima mossa internazionale per contrastare questo problema: la firma del “Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono dell’ozonosfera”, meglio conosciuto semplicemente come Protocollo di Montreal. Esso fu il risultato della Convenzione per la Protezione dell’Ozonosfera, tenutasi due anni prima a Vienna, in Austria. Ci vollero altri 24 mesi prima che tale protocollo diventasse operativo e nel corso degli anni è stato rivisto più volte per essere adattato al tempo: la prima delle nove revisioni è stata ufficializzata nel 1990 a Londra, l’ultima nel 2016 a Kigali, in Ruanda. Un evento di portata storica che Kofi Annan, ex Segretario dell’ONU, definì così:

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Si tratta di un esempio di eccezionale cooperazione internazionale, probabilmente l’accordo di maggior successo tra nazioni.

Kofi Annan

Un accordo internazionale che ha posto dunque per la prima volta l’accento in maniera sensibilmente marcata sul problema della riduzione dello strato di ozono, riuscendo stabilire pratiche che regolassero le attività influenti su tali tematiche. Il tutto in un contesto internazionale che avrebbe visto di lì a poco l’elaborazione del Protocollo di Kyoto in tema di surriscaldamento globale, pubblicato nel 1997.

Quale è stato l’effetto del Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono antartico? La sua riduzione, seppur lenta, ad un ritmo che secondo una proiezione dovrebbe rivedere dei livelli simili a quelli precedenti al 1980 solamente tra il 2050 e il 2070, come indicato nel relativo documento del sito del Governo del Canada. Un dato, tra le altre cose, confermato anche dallo Scientific Assessment of Ozone Depletion, pubblicato nel 2018 dall’Organizzazione Metereologica Mondiale insieme alle Nazioni Unite. Tempi così lunghi causati dalla lunghezza della vita delle sostanze chimiche dannose rilasciate nell’atmosfera.

Grafico della variazione di superfice del buco nell’ozono (© Agenzia Europea per l’Ambiente)

Cosa prevede il Protocollo di Montreal?

Il Protocollo di Montreal per il buco dell’ozono ha come obiettivo principale quello del contenimento dei gas CFC, ovvero clorofluorocarburo, la principale causa umana dell’assottigliamento dell’ozonosfera. Per fare ciò ha istituito delle deadline entro le quali le nazioni firmatarie avrebbero dovuto contenere i livelli di produzione e consumo di questa tipologia di gas.

Ma non solo. Esso tende a disciplinare anche un’altra serie di ambiti importanti sia direttamente che indirettamente. Per esempio la creazione di una solida banca dati di monitoraggio, l’implementazione delle ricerche scientifiche e la regolazione di scambi commerciali che influiscono nel rilascio di gas CFC nell’atmosfera.

Supporto per i Paesi in via di sviluppo

Per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo il Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono ha infatti istituito il Fondo Multilaterale per l’Attuazione, volto proprio all’assistenza nel raggiungimento degli obiettivi dell’accordo. Sono circa 50 gli Stati che finanziano il fondo in funzione delle scale di contribuzione ONU. Se si considera il triennio dal 2018 al 2020 il budget totale del Fondo è stato di 540 milioni di dollari, ovvero circa 450 milioni di euro.

Per la gestione del fondo è stato anche istituito un Comitato Esecutivo, il cui scopo è il controllo e la valutazione dei progetti, l’erogazione del denaro e l’esecuzione delle azioni volte al raggiungimento degli obiettivi del fondo stesso. Secondo quanto indicato sul sito del Ministero della Transizione Ecologica, fino ad oggi sono stati finanziati circa 7.000 progetti per un totale di 3.6 miliardi di dollari e di 489 mila tonnellate metriche di sostanze lesive.

16 settembre: Giornata Mondiale dell’Ozono

Com’è la percezione del problema? Essa varia da Paese a Paese, da classe sociale a classe sociale, un po’ come accade per quanto riguarda il surriscaldamento globale. Per cercare di sensibilizzare la popolazione mondiale nel 1994 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha istituito ogni 16 settembre la Giornata Mondiale per la Preservazione dell’Ozonosfera, più semplicemente conosciuta come “Giornata Mondiale dell’Ozono”. Una data significativa in quanto il 16 settembre del 1987 venne ufficialmente firmato proprio il Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono. Questo il messaggio a settembre da parte di António Guterres, Segretario Generale dell’ONU:

Mentre concentriamo le nostre energie nella lotta ai cambiamenti climatici, non dobbiamo trascurare lo strato di ozono e dobbiamo prestare attenzione alla minaccia rappresentata dall’impiego illegale di gas che lo danneggiano.

António Guterres

Buco nell’ozono e surriscaldamento globale

Come si diceva in precedenza, nel corso degli anni sono stati approvati diversi emendamenti per aggiornare il Protocollo di Montreal. L’ultimo aggiornamento, quello dell’ottobre 2016 a Kigali, in Ruanda, ha portato con sé un messaggio molto importante dal punto di vista della preservazione dell’ambiente.

Come riportato sul sito del Ministero della Transizione Ecologica, la direzione è quella di inserire i gas HFC, ovvero gli idrofluorocarburi, tra le sostanze soggette ad una progressiva riduzione. Dove sta l’aspetto rivoluzionario? Nel non considerare il contrasto all’assottigliamento del buco nell’ozono e il riscaldamento globale come due battaglie sconnesse tra loro. Tali gas erano stati infatti introdotti nel 1987 in sostituzione dei gas CFC nelle politiche di contenimento in quanto non dannosi dal punto di vista del buco nell’ozono.

Negli anni è stato tuttavia appurato che gli HFC, utilizzati perlopiù negli spray e come refrigeranti, siano un gas serra molto potente. «Si calcola che abbiano un impatto 14.000 volte più forte dell’anidride carbonica», si legge sempre sul sito del Ministero, e «che la loro riduzione renderà possibile evitare circa 70 miliardi di tonnellate equivalenti di anidride carbonica di emissioni da oggi al 2050 e che la loro eliminazione comporterà una riduzione dell’aumento della temperatura di 0.5 gradi Celsius entro la fine del secolo».

Come agisce l’UE per contrastare il buco nell’ozono?

Come si è mossa l’Unione Europea nel contrasto al buco nell’ozono? «La legislazione dell’UE sulle sostanze che riducono lo strato di ozono è tra le più rigorose ed avanzate al mondo», si legge sul sito della Commissione Europea. Non solo è stato attuato il Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono, bensì è stato redatto il Regolamento sull’Ozono contenente una serie di norme volte, per esempio, ad un larghissimo divieto di utilizzo delle sostanze deleterie per l’ozonosfera, non limitandosi dunque alla regolazione del commercio all’ingrosso e della loro produzione.

«Il regolamento sull’ozono dell’UE stabilisce inoltre i requisiti per tutte le importazioni ed esportazioni di sostanze che riducono lo strato di ozono», si legge sempre sul sito della Commissione, «e regola e controlla non solo le sostanze contemplate dal protocollo di Montreal», bensì anche «altre che non vi sono incluse».

Grafico che evidenzia il consumo di sostanze che incido nel buco nell’ozono in EU e nel mondo (© Agenzia Europea per l’Ambiente)

Effetti benefici del Protocollo di Montreal

Nonostante siamo ancora lontani dall’obiettivo finale, gli effetti del Protocollo di Montreal per il buco nell’ozono sono già confortanti. Secondo quanto riportato da uno studio della NASA, esso si è ridotto del 20% dal 2005. Un trend confermato anche da quanto riportato dal Massachusetts Institute of Technology. Secondo uno studio, infatti, il buco nell’ozono si sarebbe ridotto di circa 4 milioni di km quadrati dal 2000, anno in cui il buco ha raggiunto la sua massima espansione. Un effetto riconducibile a una sensibile riduzione delle emissioni di CFC.

Il Protocollo di Montreal funziona

L’attenzione nei confronti dell’assottigliamento dello strato di ozono dalla fine del secolo scorso ad oggi è sempre crescente, così come sono crescenti le ricerche scientifiche e l’entità delle misure prese dai governi e delle istituzioni sovranazionali. Secondo la comunità scientifica si raggiugerà nuovamente i livello di ozono precedente al 1980 non prima della metà di questo secolo. Ragion per cui è necessario impegnarsi nella sensibilizzazione e nell’attuazione di norme che continuino nella direzione intrapresa. Sempre però con un concetto da ricordare: tutte le battaglie per preservare il pianeta non possono che esser considerate connesse tra loro. L’emendamento di Kigali in questo senso è emblematico.

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Matteo Calautti

Matteo Calautti

Esterofilo e curioso osservatore di politica e attualità. Fondatore di Liguria a Spicchi e responsabile della comunicazione del Comitato Regionale Liguria di pallacanestro. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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