La Commissione europea pone un nuovo mattone contro il greenwashing: le aziende europee saranno chiamate a offrire prove scientifiche per garantire che le etichette ‘eco’, ‘bio’, o a ‘ridotta impronta climatica’ sui loro prodotti siano veritiere, affidabili, e comparabili in tutta l’Ue. L’obiettivo è tutelare i consumatori e gli operatori economici impegnati ad accelerare la transizione verde. L’esecutivo Ue chiede alle aziende di fornire le prove che “dimostrino la veridicità” di quanto dichiarato dal punto di vista del ciclo di vita del prodotto. Secondo l’indagine della Commissione Europa si contano 230 esempi di brand che fanno greenwashing, creando confusione nel consumatore.

Greenwashing: significato ed esempi

Il greenwashing è, in pratica, la volontà di indurre i propri potenziali clienti a credere che un marchio sia impegnato nella tutela dell’ambiente molto più di quanto non lo sia in realtà. L’esempio più concreto di greenwashing sta nel dichiarare che il packaging utilizzato proviene da materiali 100% riciclati o che la propria produzione garantisce “zero emissioni”. Sebbene alcune di queste affermazioni ambientali possano essere in parte vere, le aziende impegnate nel greenwashing tendono a esagerare i propri meriti, relativi alla sostenibilità, nel tentativo di fare “bella figura” con i consumatori.

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Il 53,3% delle dichiarazioni ‘verdi’ sui prodotti fatte dalle aziende esaminate nell’Ue è risultato vago, fuorviante o infondato e quasi il 40% privo di fondamento. Tra i casi più noti, in Italia, il caso Fileni – azienda che opera nel  settore della produzione di polli. L’azienda promuoveva allevamenti a terra ma la onlus Lav, impegnata nella difesa degli animali, contestava le sue pratiche produttive. Il caso divenne mediatico approdando alla trasmissione Report dove furono mostrate immagini in cui si notò la mancanza degli animali fuori dai capannoni per diversi giorni. L’inchiesta dimostrò che solo l’11% del fatturato complessivo dell’azienda proveniva da allevamenti a terra.

Il caso Michelin, nota azienda francese di pneumatici, è un altro esempio di greenwashing: nel 2015 si è impegnata, come ampiamente pubblicizzato, a piantare alberi della gomma per rinverdire 90.000 ettari di terreno distrutti dal disboscamento illegale in Indonesia. Ma un’indagine della no-profit Mighty Earth e della pubblicazione parigina Voxeurop, pubblicata a novembre, ha scoperto che il progetto, finanziato con 95 milioni di dollari di obbligazioni verdi, era in realtà una piantagione di gomma naturale a monocoltura che ha sostituito migliaia di ettari di habitat di oranghi, tigri ed elefanti che erano stati rasi al suolo da Royal Lestari Utama, partner locale di Michelin.

Come si sta evolvendo la normativa per tutelare i consumatori

Nel nostro Paese, fino al 2014 in Italia non esisteva un esempio legislativo specifico per il greenwashing. Il controllo era affidato all’Antitrust sotto la disciplina della “pubblicità ingannevole”. Nel marzo 2014, l’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ha pubblicato, però, la 58° edizione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, che propone un primo riferimento all’abuso di diciture che richiamino la tutela ambientale:

«La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono»

La commissione europea vuole andare oltre concentrandosi sulle etichette che riportano le diciture ‘ecologico’, ‘climate neutral’, ‘carbon neutral’, oppure ‘100% CO2 compensato’, ‘biodegradabile’, ‘compostabile’, ‘bio-based’. Non esiste una vera normativa che regoli in maniera chiara il ciclo di produzione di un prodotto, ma con l’entrata in vigore del nuovo decreto sulle etichette le aziende saranno obbligate a dichiarare l’intero ciclo di produzione legato al loro prodotto. Tale norma se dovesse entrate in vigore tutelerà il consumatore ed incentiverà le aziende a evitare il greenwashing, anche attraverso l’applicazione di sanzioni per il mancato rispetto dell’obbligo.

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Vittorio Palmieri

Vittorio Palmieri

Napoletano. Emigrato nell'entroterra irpino-sannita, in controtendenza con l'emorragia dei paesi interni verso la vita metropolitana. Ignoto poeta "prestato alla burocrazia". Nell’entroterra segue percorsi sociali con enti del terzo settore. Ha collaborato ad un progetto di agricoltura sociale con le Associazioni Irpine “Ecopotea Aps” e “Al Centro dei Ragazzi Odv”. Nell’ultimo anno fonda Introterra Aps, nata con lo scopo di rivalutare e riscoprire l'entroterra campano, e con la quale rileva un progetto giornalistico editoriale decennale "bMagazine.it" e fonda l'etichetta "Introterra Edizioni" Aspirante giornalista pubblicista, scrivo per Buonenotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista

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