In questi ultimi tempi si riflette molto in merito alla lotta degli ambientalisti “contro” opere artistiche e monumenti. Molti la considerano una modalità di protesta discutibile, altri ne riconoscono la legittimità in vista di una definitiva sensibilizzazione ai preoccupanti cambiamenti climatici. Tentiamo di capire.

Attivismo ambientale: verso il raggiungimento della meta o della totale indifferenza?

“Extinction Rebellion”, “Just Stop Oil”, “Ultima Generazione”.

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Movimenti di contestazione e resistenza civile non violenta per un futuro vivibile contro il collasso ambientale. Negli ultimi mesi emergono sui social e nel mondo dell’informazione in tutta Europa, generando opinioni controverse circa i metodi della protesta.

Hanno un obiettivo primario: mettere definitivamente in prima luce l’emergenza climatica ed ecologica e promuovere il dialogo per preservare l’ambiente e il pianeta, chiedendo ai Governi e a tutti noi di imparare ad essere in concreto responsabili per la nostra Terra.

Perché non c’è più tempo. Utilizzano perciò strumenti ad alta visibilità: imbrattano opere d’arte, incollano le mani ai vetri protettivi di quadri, si legano ai piedi di sculture, bloccano strade. Parliamo di “attacchi” ad opere immortali di inestimabile valore, quadri e sculture dei più celebri e acclamati artisti, opere pubbliche simboliche per le loro città e Paesi. Hanno manifestato a Londra, a Vienna, a Potsdam, a Firenze, a Madrid su quadri di Van Gogh, Klimt, Monet, Botticelli, Goya. A Roma, hanno imbrattato Palazzo del Senato e “annerito” le acque della Fontana della Barcaccia.

Quali sono gli effetti di questa strategia ?

Gli ambientalisti di questi movimenti non hanno come obiettivo dichiarato il danneggiamento del patrimonio artistico. Non sono guidati dalla violenza. Sembrano muoversi con una certa preparazione, consapevoli di non aver intaccato realmente i quadri, protetti da vetri speciali, utilizzando prodotti lavabili.

Tuttavia, è vero che non è stato danneggiato alcun dipinto. Altrettanto non si può dire del monumento a Vittorio Emanuele II di Piazza Duomo a Milano imbrattato il 9 marzo scorso, che al momento non si riesce a ripulire nonostante l’enorme quantità d’acqua utilizzata. Inoltre, l’intervento tempestivo è stato sufficiente per Palazzo Vecchio a Firenze il 17 marzo. Ma il dispendio di una risorsa fondamentale come l’acqua, che non è sprecabile, trova una spiegazione? Più in generale, i metodi utilizzati stanno davvero aiutando gli ambientalisti nel raggiungimento dei loro obiettivi? In vero, si manifestano incomprensione e indignazione pubblica per lo sfregio arrecato al patrimonio culturale di tutti noi. Le istanze di tutela dell’ambiente sono universalmente riconosciute. Molti però percepiscono come inutilmente estreme le modalità di protesta attuate.

Una considerazione pare importante. Carmen Leccardi, professore ordinario di Sociologia della Cultura presso l’università di Milano-Bicocca, fa notare che il tema del tempo è fondamentale e simbolico per le proteste portate avanti dagli ambientalisti di cui parliamo:

“Perché i musei e i luoghi dell’arte presi di mira dagli attivisti per il clima racchiudono opere immortali, e dunque senza tempo. La protesta riguarda infatti l’impossibilità di accettare la fine del tempo che la distruzione del pianeta a cui la crisi climatica rinvia porta inevitabilmente con sé.”

Cosa può essere fatto di più o di diverso ?

Ci sono bisogni che nascono con le nuove generazioni. Esse portano una maggiore solidarietà e sostegno e agiscono in modo differente per il cambiamento dello stato delle cose. Con inesauribile volontà i giovani si oppongono al silenzio, all’accettazione che ignora la necessità improcrastinabile di uno sviluppo sostenibile, denunciando lo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta, chiedendo consapevolezza e azioni concrete per tutelare e difendere il nostro mondo e, di conseguenza, noi stessi.

Magari potremmo tutti sentirci di nuovo uniti nello scendere nelle piazze e manifestare. Per gridare la verità al mondo, pretendendo un cambiamento immediato.

Bisogna chiederlo ai governi, nel rispetto dell’Accordo di Parigi del 2015 e della campagna intrapresa a livello internazionale per evitare che le temperature medie globali aumentino. Bisogna chiederlo a tutti noi. Con la sensibilizzazione nelle scuole sul clima, l’ambiente e l’ecologia, dall’infanzia alle università. Con un percorso scientificamente e internazionalmente riconosciuto e condiviso. E con la conseguente crescita culturale, sviluppando un’appropriata sensibilità al tema del benessere. Individuale e collettivo, in continuo aggiornamento. Le scuole hanno gli strumenti per poter fornire le basi di metodi emergenti verso lo sviluppo di un dialogo interculturale. La collettività in generale gioverebbe di un avvicinamento e collaborazione con associazioni e organizzazioni mondiali come il WWF, che educa le nuove generazioni realizzando progetti come “Old Planet School”.

Avvicinandosi a federazioni come “Friends of the Earth International“, alle campagne di Greenpeace, potremmo percepire la sicurezza del lavorare per trovare una soluzione. Qui, ora, adesso. Insieme. Basiamo le nostre fondamenta sulle affermazioni scientifiche e agiamo con proteste non violente, e incitiamo al cambiamento personale e delle abitudini, che deve avvenire come cittadini oltre che come istituzioni. Esistono anche movimenti che forse suscitano meno scalpore, ma che sono davvero importanti ed efficaci, come il “Fridays for Future“, attraverso sit-in e lezioni in piazza, che porta avanti novità come il “Fumettivismo” e la petizione “Ritorno al Futuro”.

È possibile una negoziazione della scelta dei metodi di cui avvalersi e ci si unirebbe al coraggioso Progresso di cui si sente la necessità.

 

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Chiara Andriani

Chiara Andriani

Chiara Andriani. Mi sono diplomata al Liceo Linguistico, avendo sempre avuto un interesse e un orecchio attento per le lingue. Fin dall'infanzia ho mostrato un particolare coinvolgimento ed entusiasmo verso l'universo letterario e cinematografico e una passione per la musica. L'attrattiva verso la scrittura mi ha spinto a cercare un modo per renderla parte integrante della mia vita di tutti i giorni, portandomi alla scoperta anche del giornalismo e di BuoneNotizie.it. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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