Dopo quasi un anno di discussioni nei corridoi di Bruxelles, l’Unione Europea sta approvando la prima legge europea che mira espressamente al ripristino degli ecosistemi naturali. L’obiettivo del Regolamento approvato a luglio dall’Europarlamento è recuperare e salvare dall’inquinamento e dal deterioramento artificiale gli ambienti naturali senza per questo creare nuove enclave protette. Un impegno urgente alla luce degli effetti del cambiamento climatico, ma anche complesso e di difficile realizzazione perché implica andare oltre la protezione e rimettere la Natura al suo posto. Cosa significa questo impegno, in quale modo si procederà e a quale prezzo?

Cosa si intende per ripristinare gli ecosistemi?

Quando parla di “ripristino” degli ecosistemi, l’Ue intende il recupero del patrimonio naturale in siti che lo hanno perso a causa dell’azione dell’uomo (attraverso insediamenti urbani o industriali, creazione di attività economiche, deforestazione o cambiamento dell’habitat naturale originario). Ciò implica evitare che gli habitat naturali si consumino e collassino e promuovere la “biodiversità” ovvero la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono.

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Come si fa a ripristinare un sito danneggiato? La Commissione europea ha individuato azioni possibili quali la rinaturalizzazione, il reimpianto di alberi, il rinverdimento delle città, attraverso interventi scadenzati nel tempo, ma non tutti allo stesso livello di praticabilità. Azioni che hanno risvolti positivi non immediatamente percepibili, ma assolutamente non rimandabili ed effetti economici non ignorabili. Per quale motivo?

Perché ripristinare gli habitat è importante

L’UE ha stimato che gli investimenti per il ripristino della natura apportano un valore economico compreso tra 8 e 38 EUR per ogni 1 EUR speso, grazie ai “servizi ecosistemici” che migliorano la sicurezza alimentare, la resilienza degli ecosistemi e l’attenuazione dei cambiamenti climatici, nonché la salute umana.

Recuperare, conservare e salvaguardare zone umide, fiumi, foreste, pascoli, mari, e ambienti urbani porta con sé anzitutto vantaggi ambientali evidenti (che impattano sulle minori emissioni di carbonio, minore degrado delle fonti naturali e del suolo), ed effetti positivi sulla salute di chi nell’ecosistema ci vive.

Quanto ai benefici “non ambientali” tutelare gli ecosistemi migliora la sicurezza alimentare sia sul versante qualità che sul piano economico, abbattendo i costi di produzione del prodotto alimentare finito; permette l’addio ai pesticidi per un’agricoltura a basso impatto ambientale sui luoghi recuperati. Permette di contrastare il cambiamento climatico, migliora la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo dai fenomeni incontrollati di siccità, alluvioni e dissesto che abbiamo imparato a conoscere nella loro maggiore frequenza. Se puntare sulla natura e sul suo recupero è anche un business, qual è allora il piano che ha in mente l’Europa per il futuro?

Ecosistemi e habitat più protetti possono convivere

Il nuovo Regolamento vuole ripristinare almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell’UE entro il 2030 e guarda al ripristino successivo di tutti gli ecosistemi che lo necessitano entro il 2050, seguendo gli orientamenti stabiliti nella COP15 sull’ambiente naturale.

Ma per farlo, l’UE non intende affatto escludere l’attività economica umana dal sito recuperato o creare altre “aree protette”. C’è infatti differenza fra ripristinare e “proteggere”: finora le direttive europee sulla biodiversità (la Direttive Habitat e Natura 2000) hanno tutelato la Natura. Il nuovo Regolamento vuole invece sviluppare una maggiore integrazione fra Natura e biodiversità nei contesti umani e produttivi ma anche in foreste, terreni agricoli e città. Essenziale che l’integrazione abbia un impatto positivo sulla collettività (ed immediatamente percepibile), come la Commissione ha spiegato compiutamente nel Report “Restoring nature” del 2020 illustrando la strategia europea per la Biodiversità.

I prossimi obiettivi del Regolamento sul ripristino degli habitat

In attesa del Regolamento, l’Europa ha già stato stilato un ordine di priorità per gli interventi che si concentreranno sugli ecosistemi con il maggiore potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio e per la prevenzione o riduzione dell’impatto delle catastrofi naturali (come le inondazioni). Costo stimato, 100 miliardi di euro per interventi che spaziano dalla preservazione del verde urbano all’aumento complessivo della biodiversità negli ecosistemi agricoli e alla ri-umidificazione delle torbiere. L’UE darà maggiore attenzione alle risorse forestali ed al ripristino di colture marine o dei fondali di sedimenti oltre alla trasformazione di 25 000 km di fiumi in fiumi a flusso libero entro il 2030.

Il Parlamento europeo ha chiesto anche una quantificazione degli ecosistemi nei quali si andrà ad intervenire e la garanzia di poter rinviare gli obiettivi di ripristino in caso di conseguenze socioeconomiche eccezionali. Se, quindi, lo spazio per una trattativa su come orientare il rispristino degli ecosistemi è aperta, bisognerà al contempo trovare un’integrazione possibile tra l’ambiente e l’uomo senza escluderli vicendevolmente ma anzi permettendo un adeguamento sostenibile che necessita, al contempo, una rieducazione ambientale al rispetto dell’ecosistema, fonte di vita ma anche di ricchezza tutt’altro che inaspettata.

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Antonio Mazzuca

Antonio Mazzuca

Dal 2007 sono redattore editoriale tecnico-giuridico esperto e formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Sono il coordinatore editoriale della Testata tecnica InSic.it e dal 2015 editore della testata culturale registrata Gufetto.press dedicata al mondo della cultura off per le quali scrivo news, articoli, recensioni, interviste e approfondimenti e svolgo formazione ai redattori sia per la parte critica che redazionale e per la scrittura in ottica SEO.

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