Da antropologa culturale a macellaia. La storia di Valentina Vinotti, che ha cambiato il proprio lavoro unendo due mondi solo apparentemente inconciliabili

Sono diverse, le persone a cui la pandemia ha offerto un’occasione buona per cambiare lavoro. O comunque per rinnovarsi, scoprendo nuove strade.Con la pandemia, il mio lavoro di antropologa ha avuto una flessione piuttosto importante. Però la scelta di dedicare parte del mio tempo in macelleria non è nata da una mancanza ma da una necessità di integrazione. Di integrare la pratica alla teoria. La teoria ha avuto il vantaggio competitivo della codifica, della trascrizione e della tradizione. La pratica si adatta ai cambiamenti interni ed esterni, alle necessità del momento, alla flessibilità delle mansioni. Corre più velocemente della teoria.”

Così comincia il viaggio di Valentina Vinotti, antropologa culturale e formatrice diventata macellaia per passione. Un percorso sentito nel sangue e nelle ossa ascoltando i sussurri interiori e senza dar troppo bada alla linearità e alla prevedibilità della vita quotidiana.

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Cambiare il proprio lavoro attraverso la riscoperta di un antico mestiere

Nel pieno della tormenta mondiale del Covid, mentre tutti perdevano le proprie certezze e fonti di sicurezza, Valentina è tornata ai fondamentali, alla materia, “materia che dà più sostanza al mio lavoro immateriale”. Ed è assecondando improbabili bivi e fantomatiche strade secondarie, che Valentina ha riscoperto il valore di un lavoro oggi fortemente in crisi, quasi in via di estinzione. Il suo approccio è stato simile a due specie di animali diversi, attratti dalla reciproca diversità, che si guardano fino a riconoscersi. Così Valentina si è avvicinata con discrezione e si è lasciata travolgere dai doni inaspettati della professione del macellaio.

“Parlo della collaborazione, del coordinamento, della divisione del lavoro, della standardizzazione di alcuni processi e della creatività necessaria per svolgere altre attività. Capire cos’è un gruppo di lavoro, cosa significa veramente essere un leader, come gli errori vanno gestiti e valorizzati, come si comunica con i collaboratori e con i clienti, quali mansioni e decisioni sia opportuno delegare o meno. E poi c’è il contatto con la materia, che ti getta in un flusso dove la sapienza delle mani lascia libera la testa di vagare dove vuole.”

Tutto ha avuto inizio nelle sue macellerie di fiducia, tra una battuta e una confidenza, un consiglio e qualche domanda più precisa e curiosa. “Sono anche stata sempre affascinata dall’estetica delle mani che tagliano la carne. Non so, vedere insieme, in un’unica azione, forza e delicatezza: l’ho sempre trovato bellissimo” E non c’è voluto molto perché il macellaio notasse il preludio di una nuova passione e mettesse legna al fuoco: “Tu intanto vieni, poi vediamo che succede, mi ha detto. Ecco, ho iniziato così.” racconta Valentina.

Il mondo della macelleria visto con occhi diversi

L’ambiente della macelleria è per certi aspetti un’oasi preservata dallo scorrere del tempo. A pensarci bene disossare, ripulire, tagliare e vendere carni per banchetti di ogni sorta è una pratica che accompagna l’uomo da sempre. Conserva un senso di inalterata ritualità e un’atmosfera da bottega “alla vecchia maniera”. Al bando l’aggressività e l’arrivismo imperante, qui si prediligono la gentilezza e le buone maniere. Si istruisce e corregge l’errore per far imparare e migliorare. Il profondo legame della trasmissione del sapere e la riconciliazione tra il lavoro manuale e intellettuale sono solo alcuni dei fiori all’occhiello di questa professione. Valentina ci mette del suo e, col giusto piglio da antropologa culturale, ne elogia la tradizione e la storia. 

Il rispetto e la gratitudine che molte civiltà avevano per gli animali. Ecco, l’antropologia forse potrebbe fornire qualche spunto per un consumo di carne più etico, dove non si spreca, non si butta niente, dove si mangia meno carne ma di migliore qualità e proveniente da allevamenti non intensivi. Una dieta più sana ed equilibrata per noi umani e una vita più sana ed equilibrata per gli animali. Nella vita dell’uomo c’è tanta carne al fuoco, insomma.”

Il macellaio oggi. Un mestiere solo da uomini?

In realtà ad ascoltare le parole di Valentina, appassionata come un fiume in piena, tutto sembra realmente meno difficile e soprattutto meno anacronistico di quanto si pensi. Nonostante l’esodo di queste figure professionali, ancora resiste la categoria e tra le fila dei macellai oggi si annoverano man mano sempre più donne. Non più, quindi, un mestiere da uomo forzuto e ben piazzato o, almeno, non per forza. Le donne si alternano senza nessun problema di sorta agli uomini specialmente alla cassa, nella lavorazione e preparazione della carne e nella pulizia della stessa.

Ogni pezzo di carne ha la sua tecnica di taglio e il suo coltello adatto. Questo è un lavoro quasi sartoriale e le donne non hanno alcun ostacolo a diventare brave nei tagli.”

L’unica mansione con scarsa partecipazione femminile è quella del disossatore per evidenti problemi tecnici. Serve la giusta prestanza fisica per sollevare, ad esempio, un quarto di bue, appenderlo a un gancio e passare ore a staccarne la carne. Eppure anche in quest’aria, almeno due o tre disossatrici donne in Italia pare che ci siano. A respingere l’idea collettiva del super-macellaio in stile Bruto di Braccio di Ferro, contribuisce Valentina nel raccontarci del suo macellaio capo: “E’ snello e scattante, piroetta come una ballerina da un’attività all’altra, controlla il lavoro dei collaboratori incoraggiando, suggerendo e correggendo. Ha un eloquio torrentizio e riesce a modulare il linguaggio, il registro e il tono a seconda di chi ha davanti”

Rinnovare il mestiere del macellaio è un imperativo per la sua sopravvivenza

Valentina si è posta così a cavallo tra due mondi, quello intellettuale e quello materiale, riuscendo ad avere una visione d’insieme e di sintesi differente sulle sorti del mondo della macelleria. Una parte dei suggerimenti e delle modifiche che propone risiedono nel modo di concepire la carne sia nel rispetto dell’animale in vita, che nell’approccio al consumo. Riporta il caso Temple Grandin che negli anni ’70 si impegnò per migliorare le condizioni di vita dei bovini prima di essere uccisi. Ideò ad esempio di un percorso ondulato, pensato per evitare la consapevolezza e il trauma agli animali vicini all’esecuzione.

Il punto, quindi, non sta solo nel rispettare l’animale come essere vivente, ma anche nel prendere coscienza del consumo eccessivo di carne. Vedere la macelleria non più come “mattatoio” (polarizzando in questo modo anche conseguenti posizioni animaliste ed alimentari), ma come un posto dove recarsi solo in determinate occasioni per acquistare carne pregiata e di qualità. Passare da un’esperienza quantitativa e brutale ad un’esperienza qualitativa con una diversa attenzione all’etica del processo. 

Come far tornare i giovani a lavorare in macelleria?

Arrestare la fuga di giovani, nuove leve, da lavori come quello del macellaio, va di pari passi ad un necessario rinnovamento di questa figura professionale. Oltre alle cose che si possono fare per migliorare e modernizzare l’attività in sé, nel caso dei giovani si tratta di auspicare un completo cambio culturale.

“I giovani non riescono a sottostare al modello patriarcale in cui c’è una persona sola che decide tutto, sono nati interconnessi, sono nati con la possibilità di esprimere idee e opinioni e di diffonderle nel mondo. Come rinnovare una macelleria? Attraverso nuove modalità lavorative in cui la gerarchia lascia il posto a un gruppo che cooperi per la crescita continua. Ci vuole un cambiamento culturale. Una macelleria dove si riconosca che l’intelligenza del gruppo è più potente di quella del singolo.”

Ma le idee di Valentina non si fermano qui, e la sua vèrve creativa già viaggia pensando a modifiche nella struttura dell’interior design e al miglioramento delivery. Volgendo lo sguardo alle altre tradizioni, il consiglio è anche quello di puntare su abbinamenti tra carni e vini o birre, oppure sull’inclusione di tecniche di cottura e, perché no, magari proporre una piccola degustazione di carne cotta proprio sul posto, in macelleria.

Insomma, di idee e possibilità ce ne sono tante. Il settore esiste e ha bisogno di nuove leve. Le possibilità di crescita sono infinite come la creatività e la passione delle persone. Sarà il momento di svecchiare un po’ la generale idea che si ha del macellaio con nuovi messaggi di marketing? Probabilmente, in tempi di crisi lavorativa ed economica, c’è un tesoro nascosto proprio sotto gli occhi di tutti.

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Mara Auricchio

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