A due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, si stima che sei milioni di rifugiati si siano riversati in Europa. Di questi il 90% sono donne con bambini. L’Unione Europea ha attivato una direttiva comune per la protezione temporanea delle donne rifugiate garantendo loro il diritto di vivere nei Paesi ospitanti, di lavorare e studiare. Pur nella diversità delle storie di ognuna di loro, il desiderio comune è tornare in patria per riunirsi ai mariti, combattenti al fronte, e ricostruire il loro Paese.

La città di Valencia in Spagna è uno dei più grandi centri di accoglienza delle donne rifugiate dall’Ucraina in fuga, ed é qui che abbiamo raccolto le storie di due di loro: Iryna da Kiev e Svitlana da Odessa.

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La resilienza di Iryna

«Alle 5 della mattina del 24 febbraio 2022 squillò il telefono. Era mio padre: è scoppiata la guerra, prendi la bimba e scappa. E così feci. La confusione mi invase. Dovevo prendere solo lo stretto necessario. Non volevo lasciare la mia patria, ma dovevo fuggire: non volevo che mia figlia crescesse in uno Stato in guerra. Mio marito restò a difendere il nostro Paese. Un’amica mi chiese di prendere anche i suoi due figli e con loro andai alla stazione dei treni. Una visione irreale: la stazione era strabordante di persone in pieno panico. Impossibile salire. All’avanzare delle truppe russe a Kiev le esplosioni risuonavano sempre più vicine. Le uscite da Kiev erano state bloccate per motivi di sicurezza. Dove andare? Da quel momento tutto peggiorò».

«Mio marito riuscì a farci avere una macchina. Via dall’Ucraina, poi in Romania dove ci prese una tormenta di neve e quindi la traversata confine dopo confine, con il freddo nelle ossa e le infezioni all’intestino. Mia figlia non mangiava e svenne più volte. Durante la fuga abbiamo incontrato gente amabile che ci ha aiutato e che ringrazio infinitamente. Oggi l’incubo per noi donne dell’Ucraina è finito. La nostra vita è cambiata a 360 gradi. Speriamo che presto termini la guerra per tornare a casa, abbracciare i nostri cari, vivere nella nostra casa. Ricostruire».

La solidità di Svitlana

Due cellulari: uno sempre acceso, giorno e notte, filo diretto con l’Ucraina, aggiornamento costante dal fronte dove il marito combatte e dove i parenti rimasti in patria l’aggiornano sulla situazione. «Questa linea deve essere sempre libera». Il secondo cellulare è la sua vita a Valencia: il lavoro, la figlia alla scuola materna, i contatti con le altre rifugiate.

Il suo sguardo triste è distante, come il suo pensiero. Racconta di avere molti parenti in Russia che all’inizio della guerra la chiamavano per rimproverarle di aver scelto di stare con l’Unione Europea e la NATO e non con la Russia. «Perché ci tradisci? La storia dell’Ucraina è storia della Russia, Kiev è una città russa». Non le parlano più, hanno tagliato tutti i rapporti. «Questa è anche una guerra civile. Difficile spiegare loro e fargli capire che il processo di libertà e democrazia iniziato con l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 è più impellente del legame parentale, se questo è condizionato da un’occupazione». Svitlana è combattiva, determinata a reagire ad una storia travagliata. Sorridendo dice che nel suo sangue scorre spirito vichingo, uno dei tanti popoli che ha formato la sua terra.

Le donne rifugiate arrivate a Valencia dall’Ucraina hanno tutte un titolo di studio di scuola superiore. Il programma di Protezione Temporanea stabilito dall’Unione Europea prevede la possibilità di studiare presso istituti specializzati e università. La loro scelta si è concentrata sulla formazione professionale in economia, informatica e ingegneria. Ciò che servirà sicuramente al loro Paese per ricominciare.

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Lucia Massi

Lucia Massi

Avvocata, assistente universitaria in U.S.A., interprete del tribunale di Roma e promotrice di cultura italiana presso la F.A.O. Le lauree conseguite in Italia e all’estero, incluso un Ph.D. presso la Columbia University di New York, attengono alle discipline giuridiche e letterarie. Laureata in giornalismo, collabora con BuoneNotizie.it.

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