Test sierologico prima della terza dose: i pro e i contro secondo gli esperti.

Porte aperte al richiamo vaccinale con la terza dose, eppure ferve il dibattito. C’è chi si chiede se il conteggio degli anticorpi con il test sierologico sia la chiave per capire se sottoporsi o meno al richiamo. Gli esperti del settore si dividono tra chi ne sostiene l’attendibilità e chi no, seguendo diverse logiche mediche.

Facciamo qualche passo indietro: come funziona in breve il vaccino per il Covid-19

Il sistema immunitario attaccato da un virus reagisce in due fasi, dapprima in maniera immediata e grezza, poi attivando una serie di sistemi atti a memorizzare il “nemico” e la risposta per difendersi. Il vaccino induce questi risultati senza rischiare di sviluppare la malattia con tutti i sintomi correlati.

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La durata della risposta indotta dal vaccino è di per sé variabile. Nel caso di vaccini basati su parti del virus (come quelli influenzali), è necessario il richiamo. Partendo da questa base, esploriamo le diverse posizioni sulla terza dose.

I NO al test sierologico per il richiamo vaccinale

La tesi dei detrattori del test sierologico per valutare il ricorso alla terza dose si basa sull’evidenza che il livello degli anticorpi nel sangue contro il Covid-19 non è collegato alla capacità protettiva. Secondo i ricercatori del Center for Virology and Vaccine Research della Harvard Medical School di Boston infatti non basterebbero solo gli anticorpi con la loro risposta umorale per proteggere l’organismo dal virus, ma sarebbero necessari anche i linfociti B e i linfociti T per la risposta cellulare. Il test sierologico però riesce a rilevare soltanto il numero degli anticorpi.

C’è poi da considerare che non esiste attualmente un livello minimo di anticorpi di riferimento in base al quale definire se il livello di protezione è sufficiente. Senza un metro di paragone attraverso cui leggere il risultato del test sierologico, non si potrebbero avere dei risultati certi. Fermo restando che è ormai chiaro come il numero degli anticorpi al Covid-19 (e con loro l’effetto del vaccino) diminuiscano col passare del tempo.

I SI al test sierologico per la terza dose

Tra i sostenitori del ricorso al test sierologico per orientarsi circa il richiamo vaccinale compare Claudio Giorlandino, direttore scientifico del Centro Ricerche Altamedica di Roma. Una presenza spropositata di anticorpi da Covid-19 potrebbe avere una risposta immunitaria eccessiva e potenzialmente dannosa. Ciò spiegherebbe, secondo il direttore, anche alcuni effetti collaterali che si sono verificati in seguito alle vaccinazioni.

Il discorso riguarderebbe principalmente chi presenta un alto livello di anticorpi, come nel caso di quanti hanno contratto il virus e sviluppato una conseguente risposta immunitaria. In questi casi l’immunità che ne deriva non solo è più duratura, ma anche le probabilità di ricontagiarsi o ammalarsi nuovamente di Covid-19 si riducono drasticamente. E, anche nel caso di un nuovo contagio, la memoria cellulare porterebbe il corpo a sviluppare i giusti anticorpi e a rispondere nuovamente al virus.

C’è da tener conto però che molte persone vaccinate hanno contratto il Covid senza avere sintomi allarmanti e spesso non sono neanche consapevoli di essersi ammalati e di essere guariti. Seguendo questa linea di pensiero, chi ha già contratto il virus (consapevole o meno) e ne è guarito possiede un alto livello di anticorpi così come i neo-vaccinati. Da qui nascerebbe la validità del test sierologico per valutare la presenza di anticorpi prima di effettuare il richiamo. L’aggiunta di nuovi anticorpi da Covid-19 ad altri già prodotti dal sistema immunitario potrebbe creare una reazione esagerata e pericolosa.

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Mara Auricchio

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