Pillola anti-Covid, trattamenti ospedalieri e prevenzione: la ricerca va avanti e sta producendo i primi (importanti) risultati.

Risultati incoraggianti arrivano dalla valutazione dell’Ema su Molnupiravir, la pillola anti-Covid dell’azienda americana Merck in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics.

Punto di svolta è il suo trattamento come cura assunta oralmente e senza necessità di ricovero, favorendo quindi anche la realtà di cure domiciliari. Una vera e propria cura in pillola, quindi, per bloccare l’aggravamento della malattia alla sua insorgenza. Diventa fondamentale la tempestività della somministrazione, ma i risultati dei test fanno ben sperare.

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La promessa della pillola anti-Covid:  ridurre le ospedalizzazioni del 50% e il rischio di morte

Molnupiravir è tecnicamente un antivirale già utilizzato in passato anche contro virus influenzali.

Per quanto concerne invece la sperimentazione, i test sono stati condotti su 762 adulti non vaccinati con Covid-19 moderato, ma con tendenze e rischi di malattie gravi per obesità, anzianità o malattie cardiovascolari. Come da prassi, è stato somministrato sia la pillola anti-Covid che il placebo. Dopo 29 giorni si è notato che nel gruppo con l’antivirale si era dimezzato il rischio di ospedalizzazione e morte. Precisamente il 7,3% dei pazienti con Molnupiravir era ospedalizzato/deceduto contro il 14,1% di quelli con placebo. Inoltre effetti collaterali avversi sono stati riscontrati in egual misura tra il gruppo con farmaco e quello con placebo. I risultati sono stati tanto promettenti da interrompere questa fase di test per manifesta superiorità del farmaco.

Tra gli svantaggi, il limite mosso dalla tempestività (la pillola anti-Covid deve essere somministrata entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi) e l’esclusione di donne incinte o in procinto di partorire e di persone già ospedalizzate. C’è poi la questione sull‘alto costo di acquisto. Il governo degli Stati Uniti richiedere 700 dollari per paziente, ma l’effettivo costo di produzione per il ciclo della terapia pare sia solo di 17,74 dollari (senza contare che lo sviluppo del farmaco è stato finanziato in parte da fondi pubblici). Nonostante ciò la Francia si è già fatta avanti, prenotando 50.000 dosi in arrivo tra gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre.

Sviluppi nel trattamento ospedaliero: gli antivirali anakinra, baricitinib e sarilumab

La ricerca non prosegue solo nella direzione di una cura con pillole anti-Covid, ma anche nel miglioramento del trattamento ospedaliero per i casi già gravi. L’antinfiammatorio anakinra e gli altri due antivirali baricitinib e sarilumab hanno avuto gli ultimissimi giorni di settembre l’ok definitivo dall’AIFA per il loro uso nelle cure ospedaliere. Sono farmaci pensati per aiutare le persone ospedalizzate con polmonite e necessità di supporto respiratorio. Con il tocilizumab completano ed arricchiscono il quadro farmacologico per aiutare a sconfiggere il Covid 19.

La loro azione immunomodulante contrasta la reazione esagerata, e quindi aggravante, del sistema immunitario all’invasione virale. Già solo anakinra in un recente studio ha dimostrato che abbatte la mortalità dell’80%.

Si parla di prevenzione: gli anticorpi monoclonali in alternativa al vaccino

Intanto, prima ancora di una cura con pillole anti-Covid e antivirali, si parla di prevenzione. Continua la ricerca sul Covid per sviluppare un’alternativa alle vaccinazioni. Viene dimostrata la validità degli anticorpi monoclonali dallo studio condotto da ricercatori dell’Università della California, Davis. Il farmaco è riuscito a proteggere un gruppo di scimmie macaco anziane e diabetiche dai danni a livello polmonare e neurologico causati dal Covid.

AstraZeneca ha dichiarato di portare avanti la ricerca su questo fronte, lavorando su un mix di monoclonali capaci di proteggere l’uomo per un anno. Gli anticorpi monoclonali sono stati realizzati a partire dagli studi condotti sul plasma per individuare precisamente i singoli anticorpi in grado di aggredire la proteina Spike, che serve al virus per legarsi alle cellule. In questo modo si blocca la replicazione del virus. Sono prodotti in laboratorio e poi iniettati nel corpo. Ad oggi vengono usati già nella terapia contro il Covid, ma solo nella fase iniziale dell’infezione. La differenza delle ultime ricerche sta proprio nell’usarli in fase preventiva e di copertura, non dopo l’infezione.

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Mara Auricchio

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