A un anno dal colpo di Stato di Myanmar, la storia del Paese e della sua ex leader Aung San Suo Kyi sono avvolti dal silenzio e dalla scarsa informazione mediatica.

Fra poche settimane un nuovo processo vedrà la leader nuovamente imputata. Mentre l’Europa guarda con timore la situazione al confine fra Ucraina e Russia, il Myanmar continua a vivere nell’instabilità: l’esercito birmano ha preso il potere, in un Golpe che continua a opprimere gli abitanti e a limitare i contatti con il resto del mondo. 

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Aung San Suu Kyi è stata arrestata nel marzo 2021, ma da allora l’informazione pubblica ha smesso di dare sue notizie. Cosa sta succedendo oggi in Myanmar? Il 5 dicembre 2021, la stampa asiatica ha reso noti i risultati del primo processo alla ex leader birmana.

Per il momento è stata confermata una condanna a 2 anni di carcere, riducendo la richiesta iniziale di 4 anni, valida solo per scontare alcune delle plurime accuse che il nuovo governo militare sta muovendo. Si calcola che l’esercito potrebbe far gravare su di lei una condanna di più di 100 anni di carcere, imputandole nuove colpe. Gli Stati Uniti, però, hanno iniziato a smuovere il mondo e a ricordare che Aung San Suu Kyi e il Myanmar hanno bisogno di aiuto.

Il Myanmar e la democrazia perduta

Figlia del generale Aung San, dagli anni Ottanta, Aung San Suu Kyi si è battuta per il cambiamento democratico del Myanmar. Arrestata, viene nominata premio Nobel per la Pace nel 1991. Nel 2005, il suo Partito Democratico (National League for Democracy) vince le elezioni: una grande innovazione in un Paese soggiogato dalla dittatura militare dal 1962.

Il suo ruolo era quello di Presidente de facto del Myanmar, con poteri minimi e controllati dai militari. I compiti che spettavano ad Aung San Suu Kyi erano quindi limitati: si incarnavano in lei i ruoli di Consigliera Presidenziale e Ministra degli Affari Esteri. Per il Mondo è stata il simbolo della democrazia e della libertà. 

La sua posizione, in Myanmar, però, ha sempre oscillato fra consensi e critiche. In particolar modo, la questione dei profughi musulmani Rohingya, segna una profonda macchia sulla gestione di Aung San Suu Kyi. Il genocidio dei profughi e il loro esodo in Bangladesh, seppur gestito dal governo militare, non è stato considerato dalla ex leader e dal suo partito. Questo aspetto ha gettato una grande ombra sull’operato di Aung San Suu Kyi, dando voce anche alle altre etnie che popolano il Myanmar.

Nel 2020 il suo partito viene rieletto, ma il generale militare Min Aung Hlaing, contesta la vittoria, con l’accusa di brogli. Da allora il Myanmar ha vissuto nel caos, ripristinando il potere militare. La repressione delle voci di protesta, i blocchi a ogni attività connessa con l’estero e l’arresto di Aung San Suu Kyi, hanno riportato il Paese alla chiusura attuale. 

Le accuse infondate nei confronti di Aung San Suu Kyi

Nel maggio 2021 Aung San Suu Kyi è apparsa in pubblico per prendere parte al primo processo, che l’ha condannata a 4 anni di reclusione. L’esercito del Myanmar, ha decretato che le accuse nei confronti della ex leader sono dovute a cattiva gestione del Governo, corruzione e violazione dei segreti di Stato oltre alla questione, irrisolta, dei profughi Rohingya. 

Il 6 febbraio 2022, dopo mesi di silenzio, la prima condanna è stata ridotta a due anni di reclusione, con l’accusa di possesso di walkie-talkie e di violazione delle restrizioni Covid durante la campagna elettorale. Il prezzo da pagare, però, rischia di essere altissimo: l’esercito è pronto a dare solo dei piccoli contentini, accusando ogni volta la leader di nuove colpe. Con questo mezzo, l’esercito birmano può continuare a mantenere il potere sul Myanmar, limitando gli scambi con il resto del mondo.

Gli USA si sono mossi pochi giorni fa, chiedendo al governo birmano di rivalutare le accuse e alla Comunità Internazionale di intervenire; il Myanmar continua a involvere e la forte repressione sta causando forti ondate migratorie al di fuori del Paese.

Al momento le Nazioni Unite, sembrano essersi atrofizzate, ma le richieste USA, potrebbero riaprire gli occhi al mondo e far ricordare a tutti che il Myanmar è un Paese che è stato dimenticato.

Quanto costa la libertà in Myanmar?

Il rischio che il Myanmar continui a vivere nell’instabilità è alto. Non solo: l’assenza di Aung San Suu Kyi ha causato proteste, sfociate in arresti e morti. Attualmente il ruolo di Presidente è stato preso dall’ex generale e vicepresidente Myint Swe e la sua politica è di chiusura quasi totale. 

Non è un caso che non trapelino più informazioni dal Myanmar. Le condizioni in cui versa il Paese sono però critiche: carestia, povertà e repressione continuano ad essere le parole chiave. Alcune informazioni giungono dai Paesi confinanti o dai monitoraggi dell’Assistance Association for Political Prisoners della Bbc.

Nelle prossime settimane, in date non ancora rese note, ci sarà un nuovo processo e Aung San Suu Kyi combatterà nuovamente per la libertà. Indipendentemente dall’esito del processo, il Myanmar deve rispondere a una domanda: quanto costa la libertà?

Il primo incipt dato dagli USA per riportare l’attenzione sul Myanmar, potrebbe risvegliare le Nazioni Unite, per fare giustizia e ridare la libertà perduta al Paese dove la democrazia ha vissuto per troppo poco tempo. 

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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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