Il 20 aprile la Corte Europea si è espressa negativamente sul rinnovo automatico delle concessioni balneari, concesso sino ad oggi dai Comuni ai gestori degli stabilimenti sulle spiagge.

Le concessioni scadranno il 31 dicembre 2023 e con il nuovo anno si applicherà la disciplina delle gare prevista dalla Direttiva europea per l’attuazione del mercato libero e della concorrenza. Anche gli stranieri operanti in Europa potranno pertanto partecipare alle aste.

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Lo Stato italiano beneficerà economicamente dalla riforma, in quanto le concessioni sono state date dal Demanio a costi irrisori. Gli stabilimenti a conduzione familiare temono di non poter competere con le grandi società in gara.

La situazione attuale: il rinnovo automatico delle concessioni balneari

Le spiagge e le coste italiane sono un territorio demaniale di proprietà esclusiva dello Stato. A seguito della legge 400/1993, i Comuni sono stati autorizzati a rilasciare le concessioni per la durata di sei anni. In base alla norma, a semplice richiesta del concessionario, la licenza si rinnovava automaticamente ad ogni scadenza per ulteriori sei anni.

Il sistema del rinnovo delle concessioni in via automatica ha provocato le pratiche del subaffitto delle licenze, con contratti di subconcessioni validi ed efficaci tra le parti anche in assenza di autorizzazioni da parte dei Comuni. A questi contratti si sono aggiunti gli appalti dati dai concessionari a chi volesse avviare una gestione di ristorante e bar all’interno dello stabilimento.

Una situazione di stallo amministrativo in cui nemmeno il Demanio sa esattamente il numero di attività presenti sul litorale italiano. Secondo le Camere di Commercio, nel 2021 il numero degli stabilimenti balneari in Italia ammontava a 7.173. Invece, per il SID, il Sistema Informativo del Demanio, il numero delle concessioni risulta di 12mila, con una media di circa uno stabilimento balneare ogni chilometro di costa italiana.

L’allineamento al diritto comunitario

Al fine di tutelare il libero mercato, nel 2006 è stata emanata la Direttiva europea 123, detta “Bolkestein”, con la quale si impone che gli stabilimenti siano dati in concessione tramite gare. Obiettivo della disposizione di liberalizzare la partecipazione è di garantire una parità nella concorrenza tra gli operatori economici, inclusi quelli stranieri. La Direttiva, votata anche dall’Italia e recepita nel 2009, obbliga l’allineamento delle norme italiane a quelle europee.

Per 14 anni i vari governi hanno posticipato l’attuazione della riforma tramite rinvii, in quanto gli operatori del settore, sostenuti dai partiti, sono contrari all’assegnazione degli stabilimenti tramite gare pubbliche. Anche l’attuale governo con la legge 14/2023 ha prorogato le concessioni demaniali.

Non potendosi disapplicare ulteriormente le norme del diritto europeo, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’attuale proroga delle concessioni demaniali è priva di effetto e che dal primo gennaio 2024 le concessioni vanno riassegnate con bandi pubblici. In realtà, in Parlamento è già pronta la riforma, elaborata dal precedente governo Draghi, in conformità con la Direttiva dell’Unione.

Chi ci perde dalla fine delle concessioni

Gli stabilimenti presenti sono principalmente gestiti a conduzione familiare. Il 43% del totale ha infatti una tipologia legale di Società di Persone; il 29% sono organizzati come Società di Capitali, S.r.l.; il 25% sono imprese individuali e il restante 3% sono cooperative. Per tutti vi è preoccupazione ed in particolare i piccoli imprenditori temono le grandi società, in quanto più attrezzate per affrontare le modalità della gara.

Per evitare la crisi economica di molte famiglie, il governo, riprendendo i criteri dettati dal governo Draghi, ha già disposto delle modalità di protezione per la messa a gara. Si terranno quindi conto dei parametri dell’anzianità e dell’affidabilità dimostrata dai concessionari  nella qualità del servizio fornita all’utente in questi anni.

Sono previsti gli indennizzi economici per i concessionari uscenti a carico del concessionario subentrante per ammortizzare gli investimenti, compreso l’avviamento dell’attività. Infine, per aiutare gli attuali concessionari a conduzione familiare a partecipare alle aste, le banche saranno messe in condizione di concedere finanziamenti tramite la SACE, la società statale che assicura il credito.

Chi ci guadagna con le gare

Se le gare andassero deserte, chi ci guadagnerebbe sarebbero tutti quegli italiani che, volendo risparmiare, più facilmente riuscirebbero a trovare un accesso al mare senza dover pagare. A guadagnarci con le gare saranno soprattutto i Comuni, avendo dato sino ad oggi le concessioni a canoni annuali irrisori. Attualmente, infatti, i canoni annui di concessione di tutte le spiagge italiane equivalgono al 2% di quanto fatturano gli stabilimenti. Infine, a guadagnarci dalle gare, saranno le grandi imprese che riusciranno ad accaparrarsi più stabilimenti dislocati nelle varie regioni formando catene imprenditoriali.

La sentenza appena pubblicata dalla Corte di Giustizia Europea ha posto fine alle proroghe dei rinnovi automatici delle concessioni. Il Parlamento ha già preparato la legge con la quale le Regioni dovranno emanare le ordinanze e i Comuni espletare le gare. Con l’allineamento dell’Italia al diritto comunitario si risolverà definitivamente la questione delle spiagge. In aggiunta si eviterà la procedura di infrazione da parte della UE, che potrebbe far perdere 200 miliardi del PNRR.

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Lucia Massi

Lucia Massi

Avvocata, assistente universitaria in U.S.A., interprete del tribunale di Roma e promotrice di cultura italiana presso la F.A.O. Le lauree conseguite in Italia e all’estero, incluso un Ph.D. presso la Columbia University di New York, attengono alle discipline giuridiche e letterarie. Laureata in giornalismo, collaboro con BuoneNotizie.it.

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