Nella letteratura, nel cinema e nella televisione si può riscontrare una spinta narrativa orientata verso protagonisti volutamente difettosi: un intento che fa leva su un bisogno di rappresentanza dell’esistenza umana più veritiera, con le sue luci ed ombre, lontano da qualsivoglia stigma sociale.

Alcuni degli esempi contemporanei vanno dai romanzi di Ottessa Moshfegh (Eileen, Lapvona) a quelli di Chuck Palahniuk (Fight Club, Soffocare, Invisible Monsters) o ancora la serie TV Fleabag. Autori amati dalla critica e dal pubblico, con il loro stile narrativo a tratti nichilista e iperrealista hanno saputo dar vita a personaggi disfunzionali apprezzati per la loro autenticità imperfetta, aprendo uno squarcio su un tema trattato spesso in punta di piedi: la salute mentale.

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La trattazione della salute mentale come critica del sistema

Negli anni ’90 Bret Easton Ellis sconvolse l’America con il suo American Psycho. Bestseller sull’era degli Yuppies, divenne poi un celebre film con Christian Bale nei panni dell’investitore finanziario/serial killer Patrick Bateman. Il romanzo è una denuncia della vita frivola, patinata e priva di valori tipica della New York anni ’80. Una satira della società consumistica e alienante americana del periodo, letteralmente in grado di portare un uomo sull’orlo della sociopatia.

Il libro fu un vero scandalo. Sia per le minuziose ricostruzioni della mente malata del protagonista che per le descrizioni orrorifiche dei suoi atti, che portarono lo stesso Ellis a ricevere diverse minacce di morte dopo la pubblicazione. L’autore riuscì a mettere una nazione davanti allo specchio, costringendola a osservare con gli occhi sgranati le conseguenze psicologiche di uno stile di vita spietato, fino ad allora idolatrato come emblema del progresso capitalista.

Qualche anno dopo anche Fight Club di Chuck Palahniuk indagò gli effetti sulla salute mentale del cosiddetto american way of life, il manifesto occidentale di fine millennio. Il protagonista del thriller grottesco è afflitto da uno sdoppiamento della personalità, causato da un senso di profonda alienazione nella sua quotidianità. Oppresso da una paralizzante debolezza intrinseca, è incapace di attuare un qualsiasi cambiamento nella sua vita.

Così – con una plausibile rappresentazione del disturbo dissociativo d’identità – crea un super-io immaginario. Più prestante, più sexy, più ribelle: Tyler Durden, interpretato nel film cult del 1999 da Brad Pitt. Quest’opera letteraria è una prima stoccata al granitico stigma sociale sui disturbi mentali: alla fine il protagonista torna in sé e riesce a dare un nuovo slancio alla sua vita, con una simbolica guarigione.

Raccontare la salute mentale contro lo stigma

Raccontare la salute mentale contro lo stigma

Personaggi difettosi e autentici con la forza di rinascere

Si può guarire dalla sofferenza psicologica. È questo il messaggio centrale anche del romanzo di Ottessa MoshfeghIl mio anno di riposo e oblio“. Uscito nel 2018, nel giro di qualche anno è divenuto un culto. Ambientato nell’anno 2000, racconta la scelta radicale di una giovane donna senza nome: dormire per un anno intero per rimettere in sesto la sua vita. Una decisione presa in extrema ratio, assurda, che descrive allegoricamente lo stato di estrema apatia in cui versa la protagonista. Ventiseienne, privilegiata, bella come una modella, eppure a pezzi.

Leggendo il lettore finisce per sintonizzarsi nella sua esistenza allucinata, causata da infinite prescrizioni di sonniferi, per scappare a una realtà fredda e ostile. Paradossalmente la situazione volge al meglio, al “risveglio”, solo con uno degli eventi più traumatici del 21esimo secolo. Una storia nel complesso surreale che si conclude però con un appello a un rinnovato amore e senso di gratitudine per la vita, a tratti data per scontata.

Imperfetta è anche Flebag, protagonista della serie omonima. Trentenne, inglese, è nel pieno di una crisi esistenziale causata dalla perdita di affetti sinceri e un impietoso senso di colpa per alcuni errori commessi. Scritta e impersonata da Phoebe Waller-Bridge, è un personaggio difficile da non amare: è l’impersonificazione sullo schermo di periodi difficili in cui possono incorrere tutti durante la vita.

Il regista ha scelto di descrivere questo stato di disagio con momenti di rottura della quarta parete. In questi momenti Fleabag vive un momento dissociativo, volutamente in conversazione con chi sta vedendo da casa. Disfunzionale ma vera, anche Fleabag alla fine riesce a perdonarsi e andare avanti, perché spesso il vero ostacolo al cambiamento sono proprio le percezioni fallaci di sé stessi.

Una progressiva accettazione sociale

I decenni sono passati, gli istituti di cura chiusi. Si assiste oggi ad una progressiva accettazione sociale di espressioni di fragilità umana, senza arrivare a bollare qualcuno come pazzo o irrecuperabile. La graduale sensibilizzazione sociale deve sicuramente molto ai social media per il loro ruolo di amplificatori su scala globale, dalla loro diffusione nell’ultimo decennio.

Alcuni personaggi pubblici infatti hanno scelto di esprimere una situazione di disagio proprio attraverso questo mezzo. Come la ginnasta americana Simone Biles, che durante le Olimpiadi di Tokyo 2020 scelse di ritirarsi dalla competizione per salvaguardare la sua salute mentale, stanca di “combattere contro i propri demoni”. Un esempio di come a volte la vita possa prendere pieghe inaspettatamente tortuose e la salute psichica tenda a risentirne: cucire sul petto di qualcuno una metaforica lettera scarlatta soffoca una richiesta d’aiuto.

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Virginia Allegra Donnini

Virginia Allegra Donnini

Con un background di studi ed esperienze lavorative a cavallo tra economia, marketing e moda scrivo di tendenze, pop culture, lifestyle. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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