La crisi economica da coronavirus non è così tanto drammatica come può sembrare a prima vista. Ecco perchè

A proposito della crisi economica determinata e accentuata dal coronavirus, (troppo) spesso ci capita di leggere titoli “confortanti” come questi:

Coronavirus, regole e crisi economica: due su tre non fanno più acquisti

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Coronavirus: crisi economica imponente per l’Unione Europea. Male l’Italia: crolla il Pil e schizza il debito pubblico

Certamente, non mettiamo in discussione il fatto che questa pandemia abbia avuto e stia avendo un considerevole impatto sull’economia. E infatti siamo di fronte a una crisi. Il che non è un male. Basti pensare, infatti, al significato originario di questa parola: dal greco krísis, questo termine sta a significare scelta o decisione. Insomma, rinvia a un bivio. Nel nostro caso, tra continuare a sostenere un tipo di sistema economico neoliberista (che ci ha portato a questa “crisi”) o adottare una nuova economia più umana e molto più funzionale ad affrontare quella che è stata definita una pandemia al rallentatore: i cambiamenti climatici.

Un po’ di storia dell’economia neoliberista

Se la scelta di adottare un tipo di sistema economico più umano può sembrarci ancora utopica non dobbiamo dimenticare che è stato così anche all’inizio per il neoliberismo. Era quella, all’epoca, l’idea radicale per eccellenza. Tutto ebbe inizio nel 1947 quando in Svizzera nacque la Mont Pèlerin Society, costituita da persone come l’economista Milton Friedman e il filosofo Friedrich Hayek. Che si autodefinirono appunto neoliberali e che si contrapposero alle idee di un altro economista, John Maynard Keynes, il quale sosteneva la necessità di uno Stato forte fautore di tasse consistenti e che garantiva, però, una certa sicurezza sociale.

I neoliberali volevano impedire che gli Stati dessero origine a una nuova forma di tirannia. Dal momento che era la visione keynesiana dell’economia ad essere quella dominante, così come sostenuto dallo stesso Hayek, il pensiero neoliberista sembrava essere troppo marginale per cambiare quello status quo.

In particolare, secondo questa corrente di pensiero “di nicchia”, il governo avrebbe dovuto avere il compito di far diventare ogni settore un mercato. Tutto, dall’istruzione all’assistenza sanitaria; al massimo avrebbe potuto dar loro degli incentivi, per poi scomparire del tutto e non intervenire più.

C’è da notare che secondo il neoliberismo bisogna investire in tutti quei settori che sono definiti redditizi, mentre negli altri, anche se ritenuti socialmente importanti ma poco redditizi, semplicemente si smette di investire. È questo il motivo principale che, in seguito alla diffusione della Sars nel 2003, gli istituti di ricerca privati decisero di concludere la ricerca sul coronavirus. Nonostante questo, però, la ricerca pubblica proseguì i suoi studi.

La svolta per la crisi economica da coronavirus

Nonostante sia stata all’inizio una corrente di pensiero marginale, il neoliberismo si è diffuso pian piano ma inesorabilmente in tutto il mondo, privatizzando le imprese statali e riducendo i benefici sociali. Fino ad arrivare al 2008 e a oggi.

Se la crisi economica del 2008 ha avuto un impatto importante sull’economia mondiale, non ha messo davvero in crisi il neoliberismo come sta facendo il coronavirus ora. Soprattutto se si considera con attenzione quanto scritto sul Financial Times il 4 aprile 2020.

Un giornale, insomma, schieratamene dalla parte del neoliberalismo e dei consumi e, perciò, non rivoluzionario nelle sue idee. Eppure, proprio per questo diventa un punto di svolta quanto è stato sostenuto nell’editoriale, in cui si mette in evidenza che il governo deve intervenire per  considerare i servizi pubblici come degli investimenti e non dei costi da ridurre.

Sempre secondo il giornale, i governi dovrebbero rendere più stabili i mercati del lavoro. E mettere in atto politiche di redistribuzione della ricchezza, così come creare un reddito di base e introdurre delle tasse sul patrimonio.

E ora? È l’ora di cogliere l’opportunità!

Insomma, si tratta di una serie di soluzioni – in controtendenza rispetto al neoliberismo – che possono e dovrebbero essere messe in campo per cambiare strada verso un’economia più umana e che venga incontro alla società. Soprattutto se teniamo in considerazione la grande prova di solidarietà che c’è stata durante le prime fasi della pandemia in tutta Italia, da Nord a Sud. E che c’è ancora adesso.

Come quella dimostrata dalla stilista gallipolina Irene Coppola che in una notte ha realizzato centinaia di mascherine, diventate poi migliaia, donate poi a tutti coloro che ne avevano bisogno. Per questo suo gesto, le è stata conferita l’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica”.

Affermando ciò, non vogliamo esaltare quella particolare persona o un’altra e renderla così un eroe o un’eroina. Semplicemente, vogliamo porre l’accento sull’importanza di mettere al centro non il denaro ma l’essere umano, la prossimità. Creando, così, una solida base di umanità che potrebbe dare origine a un punto di svolta, ad un nuovo Rinascimento contraddistinto da un’economia incentrata sull’essere umano e sul suo benessere.

Potremmo creare un sistema fiscale che affondi le sue radici nella solidarietà e che dia degli incentivi economici sostenibili per raggiungere e rispettare gli obiettivi dell’Agenda 2030. I presupposti ci sono già.

Inoltre, dal momento che molte imprese tra cui i colossi come Apple e Google e soggetti privati come Jeff Bezos ed Elon Musk hanno raggiunto la loro ricchezza anche grazie al sostegno economico statale, potrebbe essere il momento affinché gli enti pubblici finanziatori possano chiedere quantomeno la restituzione di ciò che hanno investito, comprensivo degli interessi.

La crisi secondo Einstein

Il momento che stiamo vivendo è un momento unico di cambiamento. Sta a noi decidere se rendere questo periodo un’occasione per cambiare nella direzione del progresso e trasformare il problema economico in un’opportunità. Ecco uno spunto in tal senso che, tra l’altro, ben si confà allo spirito del nostro giornale:

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.

È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘Superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze.

Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo, invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”

Albert Einstein

 

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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