La riduzione dell’orario di lavoro: come sta funzionando negli altri Paesi europei?

In Islanda i sindacati si sono battuti per ridurre la giornata lavorativa e dal 2019 lo hanno ottenuto per una decina di migliaia di islandesi. Guardando all’esempio di Germania, Danimarca e Norvegia, infatti, la riduzione dell’orario di lavoro avrebbe dovuto aumentare (o quanto meno a lasciare invariata) la produttività.

Già dal 2014 sono stati avviati due studi dal comune della capitale Reykjavík e dal governo islandese sull’1,3% dei lavoratori. I rapporti dell’ALDA (Associazione per la democrazia sostenibile islandese) e di Autonomy (un think tank indipendente britannico) mostrano come la forza lavoro islandese sia riuscita nel corso dell’esperimento terminato il 2019 a passare da 40 a 35 ore di lavoro settimanale senza ridurre le prestazioni e, in alcuni casi, addirittura migliorandole.

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Nel 2017 a questi esperimenti si è aggiunto quello governativo che ha incoraggiato tutte le sue istituzioni ad aderirvi. Lo studio ha coinvolto 440 dipendenti e i risultati sono stati simili ai precedenti. Risultava quindi evidente che, con la riduzione dell’orario di lavoro, la produttività in PIL per ora lavorata è più alta.

Come sono stati raggiunti questi risultati?

Non basta ridurre le ore di lavoro per mantenere alta la produttività. Se è vero che la prospettiva del lavoratore di tornare prima a casa e avere più tempo libero è un incentivo nel dare il meglio di sé, è pur vero che per riuscire a far funzionare il sistema sono state necessarie delle modifiche.

Fondamentale in tal senso è stata necessaria un’attenta riorganizzazione del lavoro privato e statale. Tra i provvedimenti più evidenti, la riduzione del tempo dedicato alle riunioni (quando non si è riusciti a sostituirle del tutto con le email), la soppressione di compiti poco utili, l’ottimizzazione dei turni di lavoro. Non solo, da parte sua lo stato dell’Islanda ha anche investito in nuovi posti di lavoro. Si parla ad esempio dell’equivalente di circa 33,6 milioni di dollari in nuovi dipendenti del settore ospedaliero per poter attuare i provvedimenti sopra citati.

In Spagna l’esperimento con 32 ore di lavoro in 4 giorni

L’Islanda non è un caso unico. In concomitanza anche la Spagna si sta mettendo in linea col modello islandese. L’idea era già presente nelle sinistre iberiche, ma è stato con il 2019, e i suoi smart working, che il partito Mas Pais è riuscito a portare alla ribalta la proposta e a ottenere consensi per la sperimentazione. Dopo una serie di piccoli esperimenti locali, ormai è fatta. E’ iniziato nel 2019 il tentativo spagnolo per la durata di tre anni. Analizzando i primi dati ora prodotti si registra l’adesione di 200 imprese e un totale di 3\6 mila impiegati passati da 40 a 36 ore di lavoro settimanali concentrate in 4 giorni.

In questo caso le aziende sono aiutate dallo Stato con una copertura del 100% dei costi di transizione il primo anno, il 50% il secondo e 33% il terzo. Sono inoltre sul tavolo 50 milioni di fondi europei, se mantengono l’organico lasciando i salari invariati.

Il fallimento dell’esperimento in Francia

Laddove invece alla decisione di ridurre le ore di lavoro non è seguita un’attenta riorganizzazione, il modello è stato fallimentare. La Francia con le leggi Aubry I e II aveva fissato una media di 35 ore lavorative settimanali. In questo caso per riuscire a mantenere la stessa produttività precedente, ha dovuto ripiegare sulle ore di straordinario, aumentandole e decretando di fatto il fallimento del provvedimento.

La riduzione dell’orario di lavoro per una migliore qualità di vita

I risvolti positivi della riduzione dell’orario di lavoro sui dipendenti sono facilmente intuibili ma, soprattutto, suffragati dalla scienza. La crescente percezione di benessere ha diminuito di molto i sintomi da stress nei lavoratori. Avere più tempo libero ha portato ad una migliore cura di se stessi, migliorando l’umore e combattendo la depressione. Una maggiore presenza tra le mura domestiche ha aiutato di fatto alla vita familiare. Salute mentale, famiglia e rapporti sociali sono stati direttamente investiti positivamente da questi provvedimenti.

Arriverà anche in Italia?

Se la Spagna sperimenta e l’Islanda conferma la strada intrapresa (ventilando anche la possibilità di passare a 30 ore alla settimana) a che punto è l’Italia?

Per adesso il Bel Paese è stabile sulle 40 ore settimanali per la maggioranza dei contratti aziendali. C’è però chi comincia a guardare all’esempio fuori dai nostri confini. Oltre l’innegabile vantaggio in termini di benessere fisico e mentale dei lavoratori, c’è la possibilità di creare nuove occupazioni per chi, a seguito del Covid, ha perso il proprio posto di lavoro o è in crisi economica.

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Mara Auricchio

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