In America è una filosofia di vita già da molti anni, in Italia lo è da poco. Vediamo i pro e i contro della tendenza a cambiare spesso lavoro.

Il job hopping – traducibile dall’inglese in “cambiare spesso lavoro” – è un fenomeno crescente anche in Italia. Il lockdown da coronavirus ha incentivato il senso di precarietà  già presente nel mondo del lavoro, e dunque i giovani professionisti, specialmente i millennials, ne fanno di necessità virtù. Il non seguire binari fissi e prestabiliti nella propria carriera, parcheggiandosi in una azienda per tutta la vita, ha i suoi vantaggi, come anche aspetti negativi. Vediamoli insieme.

Il job hopping

Si riscontra che cambiare spesso lavoro sia una prerogativa di quei paesi che godono di un basso tasso di disoccupazione. Tuttavia il job hopping oltre che negli Stati Uniti, luogo in cui ha preso avvio negli anni ’90, prende sempre più piede in Europa. Favorito soprattutto dalla fascia di giovani nati tra il 1983 e il 1994. In Italia il 43% di questi sarebbe favorevole a saltare da un lavoro a un altro a due anni dall’assunzione in un’azienda.

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Quello che però può sembrare un capriccio nasconde invece motivazioni molto più profonde: spesso i giovani sono costretti a cambiare lavoro per poter godere di un salario più alto. In altri casi invece si vive una delusione nei confronti dell’azienda perché la promessa di un avanzo di carriera non viene mantenuta dal datore di lavoro.

Il fenomeno inoltre può essersi acuito, lasciando traccia indelebile, durante la crisi finanziaria del 2007-2008. Molti genitori dei millennials sono stati licenziati durante la recessione, e questo potrebbe aver influito psicologicamente facendo scattare loro un campanello d’allarme.

Aspetti positivi

I job hopper vantano diversi punti in più rispetto ai lavoratori con un curriculum professionale più corto. Ad esempio acquisiscono più competenze, cosa molto gradita ai colloqui, e sono più adattabili avendo vissuto più culture aziendali. Sono quindi più veloci a comprendere e accettare il nuovo ambiente e spesso hanno sperimentato diversi tipi di tecnologie utili per la prossima azienda interessata. Oltre a ciò, sottostare a un solo percorso di crescita spesso è sinonimo di un aumento salariale di poco conto. Poter invece iniziare una nuova esperienza professionale facilita la negoziazione delle condizioni retributive.

Aspetti negativi

Cambiare spesso lavoro potrebbe però avere anche degli svantaggi da gestire. Il primo di tutti è la poca affidabilità percepita dalle aziende (specialmente quelle old school). Un datore di lavoro con in mano un curriculum fitto potrebbe pensare che il candidato abbia intenzione di mollarlo nel giro di poco tempo. Inoltre il job hopping non ti permette di crescere all’interno dell’azienda e ti colloca in una posizione di svantaggio qualora dovesse capitare una riduzione del personale: il leader dell’impresa non ci penserà due volte a mandare a casa il job hopper piuttosto che il lavoratore veterano, affezionato all’azienda.

Il modo migliore dunque per cambiare spesso lavoro è avere un piano strategico oltre che mantenere una certa trasparenza sapendo spiegare la propria scelta: dimostrare quindi di aver strutturato un percorso professionale in questo senso per il fine preciso di aumentare le competenze. Oppure giustificare l’andamento spiegando le cause di forza maggiore, come problemi inerenti l’azienda. Inoltre bisognerebbe darsi un limite di tempo, tre anni per esempio sono considerati il minimo per poter crescere in un’esperienza lavorativa e allo stesso tempo per poter dimostrare di aver dato un contributo professionale di valore all’impresa.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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