Il Chief Happiness Officer o manager della felicità, è una figura nata recentemente, a seguito dell’importanza acquisita dal concetto di corporate happiness dentro al mondo del lavoro. Le aziende si sono rese conto che misurando il benessere dei propri lavoratori e mettendo in atto azioni e politiche proattive per aumentare la loro felicità si ha un ritorno notevole in termini di motivazione, performance e minor abbandono del posto del lavoro.

Se è semplice immaginare il concetto di lavoro e felicità, risulta invece più complesso comprendere come questa filosofia possa entrare concretamente negli uffici che impegnano quotidianamente i lavoratori. La figura professionale che ha il compito di creare organizzazioni positive e di implementare la felicità aziendale è il CHO (qui metterò il link al primo articolo sul CHO) o manager della felicità.

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Per toccare con mano una realtà italiana abbiamo intervistato una delle prime Chief Happiness Officer della penisola: la dottoressa Valeria Di Silvestro che, tramite la sua esperienza nel gruppo Across di Torino, ci ha raccontato come un CHO possa rappresentare la risposta costruttiva all’insoddisfazione che i lavoratori stanno manifestando negli ultimi anni con fenomeni come la Great Resignation o il quiet quitting.

Di cosa si occupa un manager della felicità nel quotidiano?

Sono di competenza di un CHO le indagini sul benessere dei dipendenti, la creazione di percorsi di crescita insieme al personale, i meeting con la direzione per la definizione di strategie da implementare e, oltre a due attività che ritengo importanti.

La prima è l’analisi dei processi impattanti sul personale. Esempi pratici possono essere dei focus sulla modalità di assegnazione di premi e obiettivi, sull’introduzione appropriata in azienda una nuova risorsa oppure ancora sull’ottimizzazione e snellimento della comunicazione tra reparti.

La seconda attività è quella della condivisione dei valori aziendali. Ad esempio prossimamente mi piacerebbe mettere nero su bianco insieme ai miei colleghi la cultura aziendale della nostra organizzazione. Anche instaurare partnership con associazioni di vario tipo aiuta a portare sia cambiamento che nuovi stimoli concreti alla vita aziendale, in linea con gli obiettivi condivisi. 

Gli impiegati come hanno accolto la figura del manager della felicità in azienda?

È stata una novità che ha suscitato entusiasmo, unito a tanta curiosità. Abbiamo cercato di comunicare in maniera efficace, sottolineando che la Scienza della Felicità applicata a contesti organizzativi non è una moda del XXI secolo, ma ha quasi 100 anni di storia. L’idea che insieme intraprenderemo un percorso di cambiamento partendo proprio dalle persone, che sono la vera risorsa di un’azienda, è stata accolta con tanta positività.

Come si valuta operativamente la felicità dei dipendenti?

Il CHO può costruire delle survey anonime con diversi scenari di applicazione. Queste possono essere somministrate a tutta la popolazione aziendale per ottenere una fotografia completa e informazioni ampie, oppure solo a una porzione dell’organizzazione, ad esempio a un team di lavoro, per fare ordine e riflettere insieme. È importante chiarire lo scopo, le caratteristiche, i tempi e le modalità per la restituzione dei risultati. Terminate le compilazioni, infatti, si dovranno produrre dei report, analizzarli e restituire i risultati ai partecipanti.

Cosa pensa del quiet quitting e della Great Resignation? Questi fenomeni sembrano mettere in discussione i vecchi canoni del rapporto fra datore di lavoro e dipendente, e del ruolo del lavoro nella vita delle persone, in particolare per le nuove generazioni.

Il fenomeno del quiet quitting è connesso alla ricerca di benessere e di equilibrio e al contrasto del burnout. Soprattutto in seguito alla pandemia di Covid-19 sono cambiate le priorità delle persone e, come sappiamo, il benessere mentale e l’equilibrio tra vita privata e lavorativa hanno assunto un ruolo sempre maggiore. Le organizzazioni devono necessariamente trovare delle soluzioni per evitare che situazioni come la Great Resignation impattino gravemente su performance, dinamiche di lavoro e coesione nel proprio team.

Quello che oggi appare chiaro è che il trattamento economico da solo non costituisce un fattore sufficiente. In questo scenario tre grandi buone pratiche che il manager della felicità può mettere in atto sono: ascolto reale del dipendente, attenzione alla sua crescita personale e l’impegno nel suo coinvolgimento. Queste però devono essere calate in un ambiente di lavoro flessibile, dove elasticità nell’orario e nel luogo sono accompagnati da dinamiche efficaci di gestione del team e da una cultura del diritto alla disconnessione, che consentono realmente alle persone non semplicemente di bilanciare vita e lavoro, bensì di integrarli armonicamente.

Che consiglio darebbe a un giovane lavoratore che sta cercando oggi lavoro in Italia?

Di essere pazienti e positivi, anche se sicuramente è un consiglio difficile da mettere in pratica. Inoltre, importante è la consapevolezza nella ricerca di lavoro, capire cioè quali sono i nostri punti di forza e i principali fattori motivazionali, cosa ci spinge davvero a dare il massimo in modo da trovare un ruolo che sia come ambito che come seniority sia adatto all’esperienza di ognuno.

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale.Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese.Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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